Medico per vocazione, dopo 27 anni di lavoro ospedaliero a Londra, dove ha ricoperto l’incarico di primario di Chirurgia Estetica, da qualche tempo e per sua scelta, il dr Paolo Cajano esercita la libera professione. Dice di sé: “Sono nato a Teramo. La mia famiglia è qui da qualche centinaio di anni e così anche la mia anima, anche se molti miei parenti ora non ci sono più. Mio padre era un generale dell’esercito e abbiamo girato l’Italia da Udine a Messina, passando per Roma, ma il mio punto fisso è sempre rimasto Teramo.
Si dice che tutto il mondo è paese, ma io mi sento sempre molto più sereno quando sono a Teramo piuttosto che a New York, o a Manila la prossima settimana o a Londra la settimana scorsa. Come spesso capita, quando si arriva ad una certa età le rondini tornano al nido.” Cosa le piace di Teramo? Alla fi ne dei conti siamo fatti di emozioni. Io sono molto emotivo e questo aspetto è molto importante per me. Le mie radici, i miei affetti sono qui e mi legano molto a Teramo. Anche gli aspetti pratici mi piacciono. Quando mi dicono che Teramo è noiosa, io rispondo che invece qui si vive bene. La sicurezza, la possibilità di godere di una passeggiata senza le paure delle grandi città. Nei paesi anglosassoni, le persone lavorano, lavorano, lavorano e quando tornano a casa sono soli. Direi proprio isolati. Ma non si può essere felici in solitudine, anche se si è ricchi. L’uomo è un essere sociale, sta bene in compagnia. Quando torno a Teramo, invece, posso ancora telefonare al vecchio amico, con cui giocavo a pallone da ragazzino, e trascorrere una serata insieme. Questi sono aspetti umani che a Teramo, grazie al cielo ancora ci sono. Cosa manca invece a Teramo? Secondo me non manca proprio niente. Io vengo da un mondo altamente tecnicizzato, ricco, ma ne riconosco i difetti, e mi sento più attratto da questa realtà più semplice, fatta di cose essenziali. Quali sono i difetti del vivere all’estero? L’ultima volta che sono stato al cinema è stato 27 anni fa. Nel mio campo, se si vuole sopravvivere prima, e affermarsi poi, l’impegno lavorativo è talmente totalizzante che tutto passa in secondo piano. Questo soprattutto nel mondo anglosassone. Nella mia vita c’è stata solo la chirurgia. C’è stato un periodo in cui lavoravo 106 ore a settimana. Così, molti aspetti della vita si perdono. Per questo motivo, per me lo “struscio” per il corso di Teramo è ogni volta un enorme divertimento, un grosso svago. Perché proprio la chirurgia estetica? La vita a volte è veramente curiosa. A quattro anni ebbi un incidente con una Lambretta. Finii in coma e una mia zia mi portò una reliquia di Padre Pio. Quando mi risvegliai, la mia famiglia (e anch’io nel tempo) lo considerò un miracolo. Dell’incidente subìto rimase solo la deformazione del naso, che negli anni successivi divenne per me un enorme problema. Mi rendeva insicuro. Poco socievole. Quando ero all’universita’ decisi di “rifarmelo” e il cambiamento che si verifico’ mi portò a considerare la scelta sul mio futuro. Chi è il paziente del chirurgo estetico? La società impone dei canoni molto rigidi. Inutile negare che l’aspetto non conti. È quasi proibito invecchiare. In Inghilterra, questa è soprattutto una strategia di sopravvivenza tra i managers sulla sessantina, che temono di perdere il lavoro a favore di colleghi più giovani e allora ricorrono al lifting. Ma quello che la società vede sono gli aspetti più superficiali della chirurgia estetica. A parte le attrici e i vip, ci sono persone con problemi reali, con disagi che influiscono sulla qualità della loro vita, sulle relazioni interpersonali. A volte, dopo un intervento, la loro vita cambia radicalmente. Il chirurgo estetico, in realtà, è “uno psichiatra col bisturi”.