di David Ferrante
Domenico Ciampoli, scrittore, filologo e slavista abruzzese, nasce ad Atessa il 23 agosto 1852. Compie i primi studi a Chieti e poi frequenta il liceo a Vasto e a Sulmona terminandolo a L’Aquila. Si laurea a Napoli, dove si forma culturalmente e frequenta maestri di grande prestigio e insegna nei licei. Ottenuta la libera docenza in Letterature slave, diventa docente delle Università di Sassari e di Catania e, di lì a qualche anno, passa alla direzione delle biblioteche nazionali di Venezia, Sassari e Roma.
Del 1877 è il suo primo racconto, Bianca di Sangro. Di seguito pubblica varie raccolte di novelle popolari d’impronta verista: nel 1878 Fiori di monte e nel 1880 Racconti abruzzesi e Fiabe Abruzzesi. Nel 1882, esce la silloge Trecce nere, nel 1884 Cicuta e nel 1891 Fra le selve. Dà alle stampe anche vari saggi e alcuni romanzi: nel 1884 Diana, nel 1889 pubblica Roccamarina al quale seguono L’invisibile (1896), Il Pinturicchio e Il barone di San Giorgio.
Muore a Roma il 20 marzo 1929.
Di seguito si tratteranno tre opere del Ciampoli, per la precisione, Fiabe Abruzzesi, Cicuta e L’invisibile. Riproporre Ciampoli significa incentivare la conoscenza dello scrittore, ma anche far scoprire alcune caratteristiche culturali della terra abruzzese, usi, costumi e trazioni, luoghi e paesaggi.
FIABE ABRUZZESI a cura di Daniela D’Alimonte
«La notte dell’ultimo d’Aprile vecchio quanto l’Orco è costume tra le nostre montagne si sta a veglia come alla vigilia del Natale; ma su le rupi e su i poggi non si accendono i grandi fuochi che splendono tra la neve il ventiquattro Decembre; si bene sull’aia, quando il tempo è bello – e lo è quasi sempre di quel giorno – tutti gli abitanti del villaggio fanno a gara per metter fuori le primizie della stagione, e, adornatele di fiori, aspettano che le colga la rugiada dell’alba, accoccolati in giro a raccontar panzane e storielline e favolette da tener desti anche i sordi.»
I fatti narrati nei cinque racconti che compongono Fiabe abruzzesi, Ciampoli li ha ascoltati direttamente dalle persone comuni e li ha trascritti in uno stile verista descrivendo i dettagli della realtà del momento storico. Leggende popolari spesso ispirate a personaggi che hanno transitato sulla nostra terra con, sul sottofondo, la voce degli umili e delle loro difficoltà e privazioni, sempre in lotta per la sopravvivenza con la natura spesso ostile.
«Le storie qui presenti furono reperite direttamente dalla bocca di popolani e contadine che lo scrittore andò a interpellare nei paesi abruzzesi. Molte di esse provenivano da antichissime leggende che affondavano le origini nella notte dei tempi e che si ispiravano talvolta a personaggi storici passati in queste terre o che qui avevano vissuto le loro personali vicende. Ciampoli, ebbe l’intuito di raccoglierle e di metterle per iscritto. Le Fiabe abruzzesi sono per questo l’esempio della volontà dell’autore di delineare una cultura popolare dell’Abruzzo al pari di quanto stava accadendo in altre parti d’Italia. La trascrizione avvenne secondo i dettami delle allora vigenti correnti letterarie; a differenza di Gennaro Finamore, anch’egli raccoglitore coevo di storie abruzzesi, riportate fedelmente nel dialetto del luogo di pertinenza, il nostro scrittore adottò invece uno stile verghiano, riprendendo, in qualche caso, la tipica introduzione del personaggio che interrogato rievoca antiche credenze popolari relative al posto in cui si trova,» scrive nella presentazione all’opera, Daniela D’Alimonte.
I cinque racconti che compongono Fiabe abruzzesi sono: La rupe della zita, La maggiorana, Asilo Il poema di Corradino e Il duca zoppo.
CICUTA a cura di Silvia Scorrano
«Muta gli avrebbe baciata quella bocca cara che le prometteva tanto bene; ma passava la gente, e si trattenne. E com’egli se ne fu andato via, chiuse la porta e ringraziò a singhiozzi la Madonna bella.»
Cicuta si compone di cinque racconti e, nell’edizione Solfanelli, anche di una postfazione di Silvia Scorrano sulla geografia ciampoliana contenuta nelle novelle della raccolta: Cicuta, Maestrina, Trovatello, Ricciotta e Ciucarella.
Pubblicata a Roma nel 1884, la silloge denuncia le difficili condizioni di vita delle classi sociali deboli e si sofferma, con particolare attenzione, sulla condizione femminile.
«In questo atto di denuncia s’inserisce anche la raccolta di novelle Cicuta dedicata alla difficile condizione femminile: in lotta per la sopravvivenza, sopraffatte da una società fortemente ancorata ai pregiudizi, rassegnate, ma al tempo stesso con la speranza di un futuro migliore, le nostre eroine commettono errori irreparabili. Domenico Ciampoli è un profondo conoscitore dell’animo femminile, attraverso la sua penna leggiamo nei sentimenti più nascosti delle protagoniste. In alcuni momenti si è presi dal desiderio di fermarsi, la tensione narrativa è notevole, il finale, peraltro, non è quasi mai lieto: ma Domenico Ciampoli ci afferra per mano e ci accompagna con delicatezza sino alla fine del racconto,» scrive la Scorrano.
«Le novelle sono ambientate nell’Abruzzo montano dove la natura domina sulla vita umana: è ostile, piena di pericoli, abitata da potenze malefiche. Lo sguardo al paese provoca “una desolazione insomma da stringere il cuore, come tenaglie” per la presenza di “casucce bigie di creta stoppia”, dove uomini e animali vivono a stretto contatto con “mucchi di letame addossati a squallide capanne” e ancora “coni di fieno e tuguri affumicati”; rudimentali costruzioni, squallide e diroccate che sembrano voler rappresentare l’animo umano.»
L’INVISIBILE a cura di Vito Moretti
«Sorpreso a un tratto dalla morte, lo spirito è stordito dal brusco cambiamento operatosi in lui: a suo credere, in generale, morte e sinonimo di distruzione, di annientamento: or, siccome egli pensa, vede, sente, a parer suo, non è morto. Ne accresce inoltre l’inganno il vedersi un corpo simile al precedente nella forma, e la cui natura eterea non ha avuto ancor tempo di studiare: ei lo crede solido e compatto come il primo; e allorché uno ne chiama l’attenzione su questo punto si meraviglia di non si poter palpare. Esso fenomeno è analogo a quello de sonnambuli, i quali da principio non credono di dormire. Per loro il sonno equivale a sospensione delle facoltà: ora, poiché pensano liberamente e vedono, sono persuasi di non dormire.»
Domenico Ciampoli fu tra gli scrittori maggiormente disposti a rivedere la propria poetica e a recepire le istanze più nuove e complesse della cultura che venivano formandosi nel contesto europeo, transitando dal realismo d’esordio, che calcava le orme di modelli riconducibili a Giovanni Verga, da lui molto stimato, a tematiche proprie del Decadentismo, entro le quali trattò di bellezza e di poesia, ma anche di spiritismo, parapsicologia e del mondo invisibile. Invisibile, che riecheggia e si manifesta nel titolo di questo romanzo.
«…Ciampoli si approssima alle problematiche del “magismo” e dell’irrazionale”, maturate forse, inizialmente, attraverso lo studio dei referenti etno-antropologi delle culture subalterne (il folklore, del resto, ha costanti affondi nelle aree della “magia”) e attraverso le molte e continue indagini di slavistica e di letteratura comparata, che gli consentivano di rintracciare, nella cosiddetta “fenomenologia del primitivo”, le tramature mitico-fiabesche dell’occulto”, dello “spiritico” e, generalmente, dell”invisibile”,» scrive nella sua introduzione a L’invisibile, Vito Moretti.
«Giorgio, scrittore di romanzi e figlio, poi si saprà, della contessa di Nevara, era stato chiamato alla dimora del barone per assistere al matrimonio della figlia Vittoria di Montaspro con il conte Ferrarieri; il rito si sarebbe dovuto celebrare a mezzanotte, ma il conte venne trovato ucciso in prossimità del castello e la vicenda prese dunque un diverso e duplice indirizzo: da una parte l’indagine del Regio Procuratore, orientata a far luce sul clamoroso misfatto (anche con l’ausilio delle pratiche medianiche), e, dall’altra, la vicenda sentimentale dello stesso Giorgio, il quale trovava una prima compiacenza nella disponibilità di donna Vittoria, in seguito nella grazia seducente della contessina Berta, sorella del mancato sposo. In realtà, Giorgio era stato sollecitato a recarsi al castello per gli altri ed oscuri propositi che si agitavano nella mente del barone….»