Si è recentemente inaugurato il nuovo Anno Giudiziario. Il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, nella sua relazione sottolinea come la corruzione, la malasanità e il malaffare siano pesanti ombre che gravano sulla già difficile situazione italiana. Qual è, a suo avviso, la condizione italiana e quale quella regionale? “Per quanto
riguarda la situazione nazionale parto da due punti di riferimento. Il primo è uno studio effettuato a livello internazionale, in cui risulta che l’Italia è uno dei paesi più corrotti al mondo. Alle nostre spalle ci sono paesi del centro Africa, paesi di cui la maggior parte degli italiani non conosce neanche l’esistenza, paesi di scarsissima democrazia. Purtroppo l’Italia è ai vertici di questa poco invidiabile classifica. La quantificazione, poi, risulta dal secondo punto di riferimento: dalle relazioni annuali di Procuratori Generali e dei Presidenti della Corte dei Conti, che contano un numero vicino a sessanta miliardi di euro l’importo della corruzione, importo stabilito sicuramente per difetto perché fa riferimento a quei fatti di cui si è a conoscenza, trascurando quelli che non emergono. Sarebbe necessaria, secondo me, una presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica sana, che è la stragrande maggioranza della popolazione italiana. Come sta accadendo adesso per gli evasori fiscali: prima al vicino di casa evasore fiscale si diceva “Beato lui che lo puo’ fare” perché furbo, perché non a reddito fisso. Attualmente la sua figura è radicalmente cambiata, poiché l’evasore è considerato una persona che ci fa pagare più tasse e che ci fa avere meno servizi, perché minori introiti vuol dire minor numero di servizi. La popolazione italiana deve rendersi conto che il discorso sulla corruzione è lo stesso. Se riuscissimo a cambiare il nostro punto di vista anche sulla corruzione, se ci rendessimo conto che con i soldi della corruzione annua potremmo fare finanziarie anche per vari anni, la situazione cambierebbe. E’ necessaria, perciò, una sorta di rivoluzione culturale in questo senso, che deve partire dal basso, perché è illusorio pensare di poter combattere un fenomeno solo a livello penale. Per quanto le leggi possano essere severe (e per quanto riguarda il reato di corruzione non lo sono affatto) dovremmo preoccuparci di stabilire delle norme certe e pesanti, ma senza aspettarci granché, perché se si avesse il terrore della pena non ci sarebbero più reati. Evidentemente le sanzioni penali non hanno funzione deterrente. Inoltre questi non sono reati che vengono commessi d’impeto: sono cose studiate a tavolino. Chi commette reato si ritiene sempre più intelligente e più furbo degli altri, pensa sempre che lui non possa essere scoperto, ma si sbaglia”. Si è celebrato il ventennale di Mani Pulite. Quale differenza tra ieri e oggi? “Mani pulite è un’operazione svolta a livello giudiziario con grosso risultato: 2800 persone sono state condannate per quei fatti. Fatti ed intrecci, tra economia e politica, che oggi continuano e ripetersi e a rincorrersi. I corruttori ci sono ancora, ma sono diventati più avidi e più abili. Più avidi perché si è verificato un aumento percentuale del numero e dell’entità delle tangenti. Più abili perché ci sono degli strumenti tecnologici leciti che li aiutano a mascherare e nascondere le operazioni. Per esempio, chi volesse trasferire del denaro illecito da una parte all’altra potrebbe benissimo fare un versamento su una banca estera. Per questo tipo di trasferimenti, in nazioni che accettano i conti anonimi o cifrati, non si conoscono i terminali, né di arrivo né di partenza. Un’altra differenza risiede nell’entità delle somme. Anni fa si diceva che “si rubava per il partito”, adesso si ruba per se stessi. Abbiamo registrato tangentidi 20 come di 20.000 euro. S’infrange la legge per arraffare qualsiasi cosa, anche se si tratta di pochi euro per volta. La situazione è questa in Italia, e non è diversa in Abruzzo. Ma si badi bene, non si deve generalizzare, perché sono convinto della serietà e dell’onestà della stragrande maggioranza dei politici e degli imprenditori italiani e abruzzesi, che rispettano le leggi, o fanno ciò che le leggi consentono di fare. Certo, è più facile se lo Stato dà loro una mano. Nelle società, il sistema per costituire i fondi destinati a pagare le tangenti era quello di falsificare le strutture contabili e quindi i bilanci. Una volta il falso in bilancio era un reato grave, poiché si costituiva una provvista dei cosiddetti “fondi neri” con cui si pagavano le tangenti. Dal falso in bilancio si arrivava alla corruzione. Oggi non è più reato. Questo rende il nostro lavoro molto più difficile”. C’è un settore che più di altri è a rischio d’infiltrazioni criminali? “Naturalmente quelli che danno maggiori guadagni. Oltre ai mercati criminali come prostituzione e spaccio di droga, i settori maggiormente colpiti sono quelli degli appalti pubblici, della sanità e dello smaltimento dei rifiuti. Questi gestiscono affari tanto appetibili da essere nel mirino anche della criminalità organizzata. Oggi il mafioso (e per mafioso intendo qualunque esponente della criminalità organizzata) non è più quello con la lupara sulla spalla; oggi ha computer, veste bene, sembra una persona rispettabile. Ha dei consulenti di altissimo livello che lavorano per perseguire due scopi: paralizzare l’attività della giustizia e trovare nuove fonti di guadagno. Tutto questo è estremamente pericoloso. Nonostante l’ottimo lavoro della Guardia di Finanza, non si può garantire la completa estromissione della criminalità anche in affari del tutto legali. Questi mafiosi hanno talmente tanti soldi che le investono anche in attività lecite. Il bilancio della mafia, si sa, è superiore a quello dello stato italiano”. Attualmente lei è a capo di inchieste molto delicate, che riguardano nomi della politica abruzzese. Del Turco, D’Alfonso, Cantagallo, solo per citarne alcuni. Qual è il suo punto di vista da Procuratore e da semplice cittadino, rispetto a tali avvenimenti? “Senza soffermarsi sui singoli procedimenti (che sono in corso in tribunale, e il tribunale stabilirà la loro colpevolezza o la loro innocenza) la posizione della procura è chiara: crede che questi imputati siano responsabili dei reati. Ma senza fare riferimento, penso che ogni reato che viene commesso sia una sconfitta per la società. Perché vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Gli esseri umani, quando nascono, senza saperlo, sottoscrivono una sorta di patto sociale. Ognuno sa che bisogna comportarsi in una certa maniera, in unione, certo, con l’educazione data dalla famiglia, dalle istituzioni, che devono crescere l’individuo nella cultura della legalità. Devono essere rispettate non solo le leggi penali, bensì anche quelle civili, amministrative, e per la pacifica convivenza nella società. Quando la legalità viene infranta vuol dire che si è verificato un errore. Vale per la guida in stato d’ebbrezza, come in caso di stragi o di qualsiasi altra violazione di una norma. Ovviamente, da magistrato, non posso tenere conto della posizione sociale ed economica delle persone che ho davanti. L’articolo 3 della Costituzione afferma che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge; per cui l’obiettivo è questo, e va perseguito con equilibrio, che è la dote fondamentale di un magistrato. Il codice si può imparare, l’equilibrio è una dote innata che non si apprende in nessun modo. Da cittadino, quando ci si trova in situazioni di questo genere, naturalmente la delusione è ancora maggiore. Più la persona coinvolta in un procedimento penale riveste un ruolo sociale importante, maggiore è la sconfitta della società, perché vuol dire che sono venuti a mancare tutti quei filtri che avrebbero dovuto impedire a persone non degne di rappresentare gli altri. Bisogna interrogarsi su quali siano i sistemi di controllo che non hanno funzionato. Sta di fatto che oggi i filtri che venivano posti dalle associazioni politiche, per l’ingresso nella sola formazione di partito, non ci sono più o non funzionano come dovrebbero. Fino a quando il numero dei voti sarà più importante della rappresentanza, non si puo’ che andare in questo senso. Anche qui necessitiamo di un’inversione di tendenza. Quello che a mio avviso andrebbe fatto è isolare le persone che fanno parte di associazioni criminali, che hanno avuto ache fare con la criminalità, o di cui solo si sospetta, e impedire loro l’accesso in politica. E’ di questa forza che le nostre formazioni politiche hanno bisogno. Forza che deve generarsi e dare la spinta dal basso, dai cittadini, perché il disamore nei confronti della politica è palpabile. Questa forza deve arrivare ai vertici dei partiti e generare un rinnovamento, perché è di questo che abbiamo bisogno”.