DISLESSIA: IL RUOLO DEGLI INSEGNANTI

Per la ricerca e l’applicazione di programmi didattici personalizzati

La tesi del saggio di Giacomo Stella

“C’era una volta un bambino qualunque che tutte le mattine si alzava piangendo. Appena si svegliava cominciava a lamentarsi: “Non voglio andare a scuola perché mi prendono in giro! La maestra mi dice che non voglio impegnarmi! Matteo mi ruba le matite e allora lo picchio!”. La mamma era molto preoccupata perché il suo bambino era sempre stato allegro e socievole, di carattere docile, mentre da qualche tempo, in effetti, l’insegnante continuava a chiamarla per dirle che picchiava i compagni, non stava mai fermo, non voleva scrivere e leggere. […] Ormai neanche la mamma voleva più andare a scuola perché aveva paura di sentirsi elencare le malefatte del figlio. […] Che fare? Come mai il bambino qualunque, che non si era fatto notare alla scuola materna, in pochi mesi si era trasformato? Era sulla bocca di tutti i genitori che cercavano di trovare una via d’uscita indolore, un modo per far capire alla sua famiglia che sarebbe stato meglio trovare un’altra classe”.

In poche righe Giacomo Stella, psicologo clinico, massimo esperto di dislessia e Disturbi Specifici di Apprendimento in Italia, coglie il dramma del piccolo al quale viene diagnosticata una difficoltà di lettura, il dolore dei genitori e il malessere degli insegnanti. L’adeguata conoscenza dell’argomento è oggi imprescindibile per le famiglie e per i docenti, in particolare da quando il Ministero della Pubblica Istruzione, con la Legge 170/2010, ha definito le modalità di intervento sugli alunni con DSA: modalità che richiedono una rivoluzione metodologico-didattica alla quale non è più possibile opporsi.

La dislessia è un disturbo che ostacola il normale processo di interpretazione dei segni grafici con cui si rappresentano per iscritto le parole. È classificata tra i deficit di sviluppo che originano da alterazioni di natura neurobiologica, individuabili attraverso la Risonanza Magnetica; si definisce come disagio nella decifrazione dei segni nel corso della lettura a voce alta e non come problema di comprensione dei testi.

La clinica ne individua due tipologie: quella acquisita, che segue ad una lesione cerebrale in adulti prima perfettamente normolettori; e quella evolutiva, che emerge nel bambino a cui viene richiesto di apprendere a leggere.

Non tutti i bambini hanno gli stessi tempi di apprendimento: alcuni sono in grado di leggere abbastanza fluentemente un testo narrativo già al termine della prima elementare, mentre altri raggiungono in modo più lento tale competenza; gli specialisti affermano che solo alla fine della seconda elementare sia lecito sospettare che un alunno soffra di dislessia ed avviare le pratiche per sottoporlo ai test di performance.

La dislessia si può prevedere? Non è possibile, in termini di principio, sapere se essa si manifesterà; tuttavia, molte ricerche condotte negli ultimi anni hanno evidenziato  l’esistenza di due principali fattori di rischio: la presenza di un ritardo o di un deficit di linguaggio e la familiarità. L’ipotesi di trasmissione genetica è stata confermata grazie all’individuazione dei cromosomi in cui sono allocati i marcatori che determinano alterazioni linguistiche tipiche.

È dunque certo che la psicologia clinica italiana commetta un errore nel ritenere che la dislessia abbia origine da questioni di natura psicologica o sia conseguenza dello stress postmoderno; essa è sempre esistita: il chirurgo oculista inglese Hinshelwood ne parlò per la prima volta nel 1895, individuando ‘una strana forma di cecità per le parole’, congenita e forse molto più diffusa di quanto allora emergesse. In Italia i primi articoli sulle difficoltà di lettura furono pubblicati negli anni Sessanta, quando si cominciò a capire che certi allievi non riuscivano a decifrare i termini a causa di reale impedimento e non per mancanza di attenzione, studio e volontà.

Nell’attualità, le stime più prudenti indicano che una percentuale compresa tra il 2 e il 2,5% della popolazione italiana presenti il disturbo di dislessia: su circa sessanta milioni di abitanti, dunque, almeno un milione non è in grado di leggere se non con uno sforzo enorme; in ogni scuola italiana sono presenti casi che solo con la Legge 170/2010 hanno acquisito il diritto ad un Piano Didattico Personalizzato (PDP) e all’utilizzo di strumenti compensativi e misure dispensative.

Come possono le famiglie e gli insegnanti aiutare questi bambini ad apprendere, anche in parte, una competenza fondamentale, che apre le porte a tutte le altre competenze?

Giacomo Stella fornisce indicazioni utili.

I genitori devono cercare la buona diagnosi ed affidare il proprio figlio ad un operatore esperto che lo aiuti nei compiti a casa, fondamentali per l’allenamento quotidiano.

I bambini dislessici non devono studiare con la madre o il padre: costoro devono assicurare vicinanza ed affetto senza condizioni, non comportarsi come maestri e così compromettere le relazioni in famiglia.

Gli insegnanti invece devono ripensare il proprio mestiere dalle fondamenta: pur essendone consapevoli, ancora faticano ad accettare il cambiamento. È necessario che apprendano l’uso delle tecnologie informatiche di cui gli allievi dislessici si servono per compensare le abilità mancanti: Lavagna Interattiva Multimediale o pannelli video, tablet, scanner, E-books, programmi di sintesi vocale, di correzione automatica, di creazione delle mappe concettuali. Ma non è tutto qui. Debbono avviare la personalizzazione dei programmi, approcciare le avanguardie educative, rivedere i parametri di valutazione per gli allievi con bisogni speciali.

Molti ci riescono, a dire il vero. Mi piace ricordare la storia vissuta presso un liceo di Bologna che, quindici anni fa, non era ancora fornito della strumentazione digitale adeguata, ma che tuttavia curava con dedizione la presa in carico degli allievi con bisogni speciali. Nella mia classe era inserita Laura, una ragazza intelligente e studiosa, con grave DSA. Per lei si mobilitarono i colleghi, compatti: quando ancora non era un obbligo concedere l’uso del computer con il programma di sintesi vocale, lei ne aveva uno; nonostante non fosse ufficialmente richiesto, nessuno le richiedeva di leggere a voce alta in classe e tutti le concedevano ulteriore tempo durante le verifiche.

In cinque Anni, Laura si è diplomata a pieni voti; ha poi conseguito la laurea magistrale ed oggi, in qualità di dottoranda all’Università, si occupa di mezzi compensativi per alunni con dislessia e disgrafia.

Di certo Laura non avrebbe avuto un successo scolastico e professionale così importante se i professori e la famiglia non avessero collaborato a costruirlo: Giacomo Stella lo ribadisce nel suo libro, e si augura una simile fortuna anche per agli altri bambini.

 

di Simona Cascetti

“La Dislessia” di Giacomo Stella

Bologna, Il Mulino, 2004