La scuola, prima, come semplice trasmissione di esperienze e, poi, come istituzione pubblica o privata per elite o per le masse, è sempre stata presente, sotto forme diverse, in tutti gli Stati o nelle più disparate organizzazioni sociali, in quanto, per mezzo di essa, s’intendeva formare i membri della comunità secondo finalità ed esigenze proprie del gruppo cui essi appartenevano. Nell’antichità classica, greca e latina, i nobili si avvalevano di precettori privati (pedagoghi) per i propri figli, mentre lo Stato si prendeva cura dei bambini per dare
loro, in particolare, un’educazione militare e civile. Solo in un secondo momento è subentrata la necessità di insegnare le arti, a leggere, a scrivere e a far di conto ma sempre secondo precise finalità: il bene superiore della patria, prima, e della persona, poi. Nel Medioevo l’istruzione era affidata quasi esclusivamente alla Chiesa e al clero. I nobili educavano i propri figli in casa con precettori privati, mentre il popolo si avvaleva dell’insegnamento elementare, medio e superiore presso i monasteri, le parrocchie e le diocesi. Queste ultime si trasformarono, nelle grandi città, in università, i cui studi erano organizzati in facoltà: medicina, diritto, teologia e arti. L’insegnamento delle arti liberali (del trivio: grammatica, retorica, dialettica; del quadrivio: aritmetica, geometria, astronomia, musica) era propedeutico all’università o di approfondimento nella facoltà delle arti. I piani di studio e i programmi inizialmente erano liberi e proposti su iniziativa del singolo docente. Una decisa svolta nell’organizzazione dell’insegnamento fu apportata, per intrinseche necessità, dalla Riforma e dalla Controriforma. Fino alla cacciata dei Gesuiti (1767) la scuola era concepita come indottrinamento religioso per il popolo e formazione classica e scientifi ca per i ceti dirigenti. L’Illuminismo e la Rivoluzione Francese promossero le scuole pubbliche e popolari, anche se la borghesia contrastava l’obbligatorietà e la gratuità dell’insegnamento pubblico per i ceti meno abbienti o nullatenenti. L’epoca napoleonica e la Rivoluzione Industriale, in Italia, cominciarono a spingere verso l’istituzione di scuole tecniche, già affermate in Germania e in Austria. Con la Restaurazione venne quasi del tutto cancellato il tentativo riformista e di diffusione delle scuole popolari. Solo la Chiesa continuava a gestire la scuola in situazioni, però, di scarsissima preparazione dei maestri e di totale ineffi cienza. Lo Stato Pontifi cio con la Constitutio de recta ordinatione studiorum intese riformare le università, tralasciando la formazione dei docenti, le scuole superiori e le inferiori e limitandosi a dettare poche norme per la scuola primaria. Nel Regno delle due Sicilie venne introdotto. l metodo del mutuo insegnamento (vera scuola di Barbiana ante literam). Il Regno di Sardegna aveva la scuola meglio organizzata, culminante nella legge Casati (1859), che prevedeva: a) l’istruzione elementare di 4 anni (solo i primi 2 obbligatori e gratuiti); b) un sistema dualistico tra cultura classica (5 anni di ginnasio e 3 di liceo, con accesso all’Università) e tecnica (6 anni di scuole e di istituti senza accesso all’Università); c) varie facoltà uiniversitarie. Nel 1877 la legge Casati fu estesa al nuovo Regno d’Italia con la legge Coppino che introdusse pure lo studio dei diritti e dei doveri del cittadino.