di Raffaele Romano
JAMES BOND È realmente esistito?
Nella stesura del mio ultimo libro, di prossima pubblicazione, nel fare ricerche negli archivi “top secret” del Dipartimento di stato americano e della CIA mi sono imbattuto in una spia del 20° secolo che ha affascinato il mondo: Dušan Popov. Ai cori meravigliati che si sono alzati ho risposto in diverse pagine del mio libro da cui si ricava che, una volta declassificati alcuni documenti, ho scoperto che Dušan Popov era stato il vero 007 James Bond.
Gli inglesi e gli americani non avevano nessuna intenzione di cedere il comando nella conduzione della seconda guerra mondiale a chicchessia e, come se ciò non bastasse, era frequente qualificare negli ambienti Oss (L’Office of Strategic Services) l’intelligence da cui nacque poi la CIA questa condizione di asservimento. Come hanno rivelato gli studi di Roger Absalom dello Sheffield City Politecnic, con l’irridente espressione verso gli italiani: “Kid” (“Kept Italy Down”, “Tenere l’Italia sotto il tallone”) e, in quelli del Soe inglese, con l’affermazione di Winston Churchill solo un po’ più benevola dei cugini americani di “lasciare che gli italiani comincino a darsi da fare per guadagnare il tempo perduto”. Johann-Nielsen Jebsen, soprannominato “Johnny”, era un ufficiale dell’intelligence tedesca anti nazista e doppio agente britannico (nome in codice ARTIST) durante il secondo conflitto mondiale. Jebsen reclutò Dušan Popov (che divenne l’agente britannico Tricycle) nell’Abwehr, il servizio segreto tedesco, e attraverso di lui in seguito si unì alla causa alleata. Popov era un agente segreto serbo arruolato dai servizi della Germania nazista che, durante la guerra faceva il doppio gioco per l’Intelligence inglese MI5. La sua mitica figura ispirò Ian Fleming (anch’egli al MI5) nella creazione del personaggio di James Bond dei suoi libri una volta lasciato il servizio per Sua Maestà britannica.
Inviato in Gran Bretagna dal servizio segreto tedesco, Duško Popov iniziò a fare il doppio gioco trasmettendo ai tedeschi le informazioni false che gli passavano i servizi segreti inglesi. Grazie alla sua copertura di giovane e ricco uomo d’affari, amante della bella vita, divenne uno dei principali elementi del Sistema XX (Sistema della Doppia Croce) che era la rete antispionaggio organizzata dall’MI5 britannico.
Durante il primo periodo della guerra si recò spesso in Portogallo, uno dei pochi Paesi neutrali in Europa, dove il suo ufficiale di collegamento tedesco lo contattava al Casinò dell’Hotel Palácio di Lisbona. In questo casinò Popov mise a segno un clamoroso bluff contro un ricco lituano al tavolo del baccarat. L’allora agente segreto inglese Ian Fleming assistette alla scena, che poi avrebbe immortalato nel primo libro di James Bond, Casino Royale. A questo riguardo nel libro autobiografico “Spia contro spia” che Popov pubblicò nel 1974 scrisse: «Mi fermai a un tavolo dove si giocava al baccarà. Tra i giocatori riconobbi una delle mie “bête noire“, un lituano dall’aspetto insignificante ma molto ricco, di nome Bloch, particolarmente spavaldo. Non so cosa diavolo mi prese, forse fu il fatto che c’era Fleming alle mie spalle, ma quando Bloch proclamò “banque ouverte!”, annunciai con il tono più freddo e distaccato: “Cinquantamila dollari! Erano soldi che servivano a finanziare un’operazione.”
La cosa più eclatante, che troverete nel libro, è che gli americani furono avvertiti dell’attacco a Pearl Harbour infatti nel 1941 l‘Abwehr (tedesco) lo inviò negli Stati Uniti per reperire finanziamenti con cui appoggiare una rete locale di spie che aveva preso il controllo del porto di New York. Fu in quell’occasione che Popov rimase molto incuriosito dell’interesse giapponese per l’attacco riuscito degli inglesi alla base navale di Taranto utilizzando, per la prima volta al mondo, una portaerei. Da quel momento cercò di comprenderne il significato e associando a questo fatto l’interesse di Tokyo per il vitale controllo dell’Oceano Pacifico diventava vitale, per la base americana nelle Hawaii. Per questo confezionò un dettagliato memorandum che riguardava il porto di Pearl Harbor, ipotizzando che i giapponesi l’avrebbero potuta prendere di mira per il loro diretto attacco agli Stati Uniti. Popov passò la sua relazione ai servizi britannici che, per questo motivo, lo mandarono negli USA da Edgar Hoover l’indiscusso capo dell’FBI.
Questo finale come altri lo troverete nel mio libro.
Raffaele Romano