Strutture non idonee per mancanza di percorsi che isolano il paziente colpito da ebola dal resto dei pazienti e dagli utenti, poche esercitazioni, mancata applicazione di un protocollo universale.
Forse questi sono alcuni dei motivi alla base dei contagi che hanno interessato gli infermieri in America e in Spagna. Il direttore del Center for Disease Control americano ha dovuto fare un passo indietro e ammettere che il contagio da ebola sul suolo americano ha cambiato in qualche modo le carte in tavola. In America gli infermieri contagiati sono 2 e lavorano nel Texas Presbyterian Hospital di Dallas, con quello spagnolo sono tre i casi confermati tra il personale sanitario del cosiddetto “mondo occidentale”. Non in Africa, dove i mezzi sono pochi e l’urgenza tanta, ma in paesi con sistemi sanitari sviluppati, che dovrebbero essere assolutamente in grado di gestire l’arrivo del virus. Cosa è andato storto? Forse il personale non ha una preparazione sufficiente ad affrontare questo virus?. Forse le strutture non hanno percorsi idonei che isolano il paziente colpito da ebola dal resto dei pazienti? Quello che è accaduto in americana non può che indurre prudenza anche qui da noi. Prima eravamo più sicuri, perché non c’era ancora mai stato un contagio fuori dall’Africa. Ora abbiamo la prova che anche nei nostri sistemi sanitari dobbiamo fare molta attenzione, In America stanno ripensando i protocolli per la gestione dei pazienti malati di ebola. Secondo il mio parere, i protocolli, che dovrebbero essere gli stessi in tutto il mondo, vanno bene. Ciò che va fatto semmai è garantire più personale infermieristico negli ospedali, fare applicare scrupolosamente i protocolli e aumentare l’esercitazione e la preparazione del personale. Se andiamo ad analizzare le modalità di contagio degli infermieri in Spagna e in America, vediamo che i contagi sembrerebbero dovuti ad errori nello svolgimento delle procedure di assistenza. Vestirsi e svestirsi per accudire un paziente infettivo infatti è un’operazione complicata e basta un minimo errore nell’ordine con cui ci si sfilano guanti, camice e mascherina per rischiare esposizione al virus. La domanda che gli Italiani si fanno è: “Esiste, in tutti gli ospedali del nostro paese, una rete di alto isolamento che sia perfettamente in grado di gestire pazienti a rischio? Gli infermieri, gli operatori e i medici hanno un buon addestramento nell’ eseguire correttamente i protocolli? Perché si tratta di procedure che vanno provate e riprovate fino alla noia per essere eseguite in sicurezza. Sono stati predisposti protocolli per il trattamento delle ambulanze di emergenze, subito dopo aver trasportato un paziente potenzialmente affetto da ebola? Il paziente che arriva in pronto soccorso, segue percorsi idonee che lo isolano dal resto dei pazienti? Ci ricordiamo come inizialmente il Cdc aveva assicurato che ogni ospedale americano con un un’unita di isolamento sarebbe stato perfettamente in grado di gestire un caso di ebola?, Rassicurazioni che sono state però smentite da diversi particolari emersi dopo il contagio delle due infermiere. Il National Nurses United, uno dei principali sindacati americani del personale infermieristico, ha denunciato la mancanza di esercitazioni adeguate in quasi tutti gli ospedali degli Stati Uniti, accusando in particolare il Presbyterian di non aver fornito agli infermieri protocolli precisi e equipaggiamento adeguato per affrontare un paziente malato di ebola. Se l’ospedale texano per ora ha evitato di commentare la notizia, chiedendo a tutto il personale di non rilasciare dichiarazioni alla stampa, è stato il Cdc, dopo l’iniziale scetticismo, a confermare che ci sarebbero, effettivamente state delle irregolarità. E’ stato notato che alcuni operatori indossavano tre o quattro strati di equipaggiamento protettivo, pensando così di essere più al sicuro, in realtà indossare più strati di guanti e vestiario rispetto a quanto raccomandato nei protocolli rende molto più complicato vestirsi e svestirsi, e aumentano anche i rischi di commettere errori quando ci si sveste, e quindi le possibilità di contagio. Anche in Spagna, l’infermiera pare si sia infettata a causa di un incidente avvenuto durante la rimozione dell’equipaggiamento protettivo utilizzato mentre assisteva un paziente malato di ebola. E anche qui, la colpa sembrerebbe attribuibile ad una cattiva gestione dell’emergenza da parte delle autorità sanitarie. Inoltre, ricordo come l’Ospedale Carlos III di Madrid dove sono stati isolati i due pazienti colpiti da ebola aveva ricevuto, negli ultimi quattro anni una riduzione di budget, che aveva portato ad un declassamento del suo reparto di malattie infettive. Anche qui come in America gli infermieri dell’ospedale hanno denunciato di non aver ricevuto una preparazione adeguata (solo dimostrazioni teoriche e nessuna esercitazione pratica) e di essere stati obbligati a lavorare con un equipaggiamento inadeguato, ad esempio camici protettivi a taglia unica, che in molti casi lasciavano scoperte ampie aree del corpo. Nonostante per ora non sia stato confermato nessun caso di contagio, molti operatori oggi afferano di avere paura e si chiedono se siamo pronti a fronteggiare il virus dell’ebola.
Daniele Leone