L’economia di Teramo risente fortemente del grande processo di trasformazione che ha investito lo scenario economico nazionale e internazionale. La recente crisi ha ovviamente aggravato la situazione sul fronte dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione al pari di quanto avvenuto nel restante sistema economico italiano. I dati relativi al 2009 sono in proposito abbastanza eloquenti, perché esprimono una caduta verticale di tutti gli aggregati economici, incluse le esportazioni. Tutto ciò non poteva non avere ripercussioni sullo stato di salute delle imprese, amplificando il ricorso alle procedure fallimentari. Tutto ciò può trovare spiegazione, oltre che nella difficile situazione economica, nel tipo di modello che
Teramo esprime. Il tessuto produttivo poggia infatti su una rete diffusa di piccole e micro imprese, in gran parte posizionate su settori produttivi di tipo tradizionale e con una struttura giuridica in cui la componente personale ha un netto sopravvento sulla società di capitali. Questo sistema produttivo ha fortemente risentito della concorrenza dei paesi emergenti, tanto è vero che, per esempio, la Cina risulta essere il primo paese importatore di Teramo, in particolare per quanto riguarda prodotti dell’abbigliamento e della pelletteria. Molti dei vantaggi di cui Teramo godeva sembrano oggi venir meno. La filiera produttiva basata sulle piccole imprese con produzioni a basso valore aggiunto, l’ atmosfera industriale che nel passato esaltava la provincia, la connessione tra aspetti economici e aspetti non economici, quella espressione di capitalismo molecolare e distrettuale sono diventati in questi ultimi tempi fattori facilmente aggredibili e tali da determinare un progressivo ma non irreversibile ridimensionamento. Oggi c’è bisogno di una rivisitazione critica di questo modello, affinché Teramo possa mantenere i connotati industriali e le peculiarità produttive degli anni passati. E non si può fare a meno di partire dai distretti che a Teramo trovano una giusta e interessante collocazione. Occorre rivitalizzarli e procedere in direzione di produzioni a più elevato valore aggiunto, aventi caratteristiche di maggiore qualità e innovazione, nelle sue forme più variegate. Fino a poco tempo fa si diceva che “piccolo è bello”. E ciò vale soprattutto per l’area teramana che si contraddistingue per un elevata percentuale di occupati nel settore industriale e per il fatto che oltre l’80% del prodotto manifatturiero proviene dalle unità di ridotte dimensioni. E’ vero, perché una struttura produttiva moderna garantisce flessibilità e adeguamento immediato alle tendenze del mercato. Tuttavia, la ridotta massa critica non consente di effettuare investimento innovativi; non solo, ma in un mondo globalizzato, dove è importante produrre per esportare, la piccola impresa incontra notevoli diffi coltà per raggiungere mercati lontani per i costi che deve sopportare. Un’altra questione importante riguarda lo stato di sottodimensionamento delle attività terziarie. I servizi ricoprono una quota decisamente modesta che a stento supera il 60%, una delle percentuali più basse fra tutte le 103 province italiane. Ed è proprio in questo settore che si forma nuova occupazione, in grado anche di soddisfare alcune esigenze delle imprese in tema di terziario avanzato. Quindi molti problemi da affrontare. La ripresa in corso appare ancora incerta e oscillante. Regna incertezza sui mercati e ciò provoca ripercussioni sui consumi delle famiglie e sugli investimenti delle imprese. Ma non v’è dubbio che quando la crisi sarà completamente superata, la concorrenza tornerà ad intensifi carsi, lasciando sul mercato quelle imprese che avranno portato a compimento un processo di ristrutturazione e di ammodernamento produttivo.