Nel pomeriggio di martedì 19 maggio, nella Sala San Carlo del Museo civico, il giornalista, storico e saggista Paolo Mieli ha tenuto una Lectio Magistralis sulla storia recente e passata e in particolare sull’Islam.
Molti i giovanissimi presenti, tante le domande alla fine della lezione.
Due in particolare hanno ricevuto altrettante risposte sulle quali mi sono soffermata a riflettere.
La prima, riguardava la cultura della guerra e delle armi che rendono il mondo attuale uno scenario di conflitti inesauribile.
La seconda , di una liceale dell’istituto Milli, che chiedeva consigli per chi avesse voluto intraprendere la professione giornalistica in un momento in cui “la libertà di stampa sembra venir meno ogni giorno di più soprattutto dopo la strage di Charlie Ebdo”.
Le risposte di Mieli sono state illuminanti. La scomparsa della cultura della guerra e delle armi è un’utopia attualmente impraticabile e neanche auspicabile “perché se è vero che nei paesi più evoluti si può ipotizzare una riduzione della produzione e del consumo di armi, ed è tangibile la distanza dal ricorso alla guerra e ai conflitti, è altrettanto vero che quei paesi dove le armi e i conflitti sono ancora l’unico modo di affrontare e risolvere le controversie socio politiche interne e limitrofe, farebbero un sol falò di tanta santa evoluzione culturale – spiega Mieli – immaginate cosa potrebbe succedere se in Europa non ci fosse più una politica di difesa e quindi armi per eventualmente attuarla e nel resto del mondo quello che c’è tutt’ora, tra Isis, terrorismo e trafficanti.
Quindi occorre solo diffondere il più possibile quella cultura che porti progressivamente al rifiuto della politica armata a fronte di una cultura della conoscenza e della mediazione”. Alla seconda domanda risponde invece con esempi “forti e scomodi”, chiamando in causa addirittura Papa Francesco: “ non ho apprezzato una frase del Papa che a proposito di Charlie Ebdo disse che <se qualcuno offende mia madre io gli do un pugno> come a giustificare la strage, visto che in quel giornale si pubblicavano vignette satiriche blasfeme. La libertà di stampa è invece proprio questo, libertà di esprimere il proprio pensiero e il proprio dissenso senza paura.
La libertà di scrivere è sacra, a meno che la scrittura non contenga un <ordine di reato>. E anche qui, la differenza la fa la cultura, la conoscenza, l’informazione. Per quanto riguarda il giornalismo, il futuro è sul web. Siate pronti a governarlo”. A questo punto arriva la chiosa: “voi siete fortunati, Teramo è una città culturalmente evoluta e vivace, ricca di stimoli” – dichiara Mieli – E l’applauso viene da sé.
Prima riflessione: cos’è la cultura? È la conoscenza trasmessa dall’esperienza alle generazioni successive perché possano avere una qualità di vita migliore.
Seconda riflessione: Teramo è una città culturalmente evoluta? Da cosa lo si evince? Dall’alto tasso di disoccupazione? Dalla pluralità della stampa e dell’informazione? Dagli eventi culturali di cui può fruire? Chi è che propone e dispone gli argomenti culturali? C’è libertà di scelta per i teramani? O devono accettare quello che pochi “credono” sia cultura?
Abbiamo un patrimonio artistico e archeologico non fruibile o proprio interdetto. Un solo cinema e oggi anche ridotto. Un teatro non adatto a tutti i generi ( l’acustica è imbarazzante) e le proposte culturali o sono delle consuetudini cronicizzate o sono dei maldestri e arroganti tentativi di imporre un’aristocrazia di pensiero che qualche anno fa sarebbe stato negativamente etichettato come provincialismo piccolo borghese.
Se questa è l’evoluzione culturale teramana di cui rallegrarci…
Direttore PrimaPagina