Venendo meno alla tradizione ormai consolidata di questa mia rubrica, questa mese non mi occuperò di scienza, ma di politica della scienza. Chiedo scusa in anticipo al lettore che si aspettava la “solita” breve digressione nei territori extraterrestri. Dopo oltre tre anni, il percorso della riforma degli enti di ricerca italiani è giunto al traguardo con la pubblicazione dei nuovi statuti, i documenti che stabiliscono il funzionamento e
l’organizzazione degli enti. Diciamo subito che non è stato un percorso lineare. La legge del 2007 da cui è partita la riforma voluta dall’allora ministro Fabio Mussi si ispirava al principio di autonomia della ricerca scientifi ca sancito dalla carta dei ricercatori approvata dalla commissione europeal’11 marzo del 2005. Salvo rare eccezioni, di questi principi ispiratori rimangono ben poche tracce nei nuovi statuti degli enti di ricerca. L’Istituto Nazionale di Astrofi sica (INAF), ad esempio, sarà governato da un consiglio di amministrazione per 3/5 è nominato dal ministro dell’Istruzione, compreso il presidente. Gli altri due membri saranno ricercatori eletti dai circa 1000 dipendenti e dai circa 300 associati (professori universitari afferenti di astronomia e astrofisica). Il Cda selezionerà tutti i vertici: il direttore generale, il direttore scientifico, i direttori delle strutture di ricerca sparse sul territorio nazionale e estero e i componenti del consiglio scientifi co. Pur confidando nella lungimiranza dell’attuale ministro Mariastella Gelmini, e dei ministri che verranno, la preoccupazione che alla fine trionfi il consolidato malcostume della politica italiana di utilizzarei consigli di amministrazione degli enti pubblici per sistemare gli amici degli amici, invece di sceglierne i componenti sulla base delle loro competenze, è molto forte. Q u e s t a preoccupazione è maggiormente avvertita dal personale d e l l ‘ O s s e r v a t o r i o Astronomico di Teramo, una delle 19 strutture di ricerca nazionali afferenti all’INAF. Nello statuto, entrato in vigore il 1 maggio, è prevista una “razionalizzazione” dell’istituto nazionale che comporterà l ‘ accorpamento dell’Osservatorio di Teramo con quello della capitale. Anche se gli attuali vertici dell’ente si sono sforzati di convincere la comunità scientifi ca che questi accorpamenti non preludono ad una chiusura delle strutture di ricerca, non è difficile immaginare che il pesce grosso finirà col mangiare quello piccolo. La perdita di autonomia scientifi ca e fi nanziaria porterà ad una drastica riduzione degli investimenti in risorse umane ed economiche. Ci si può chiedere il perché di questa Domani (incerto) per l’astronomia il sistema scelta. Diffi cile da sostenere la tesi del risparmio. L’Osservatorio di Teramo costa allo stato circa 1 milione di euro l’anno (l’1,1 % dell’intero bilancio INAF), ma l’80% di questa spesa è costituito dai costi del personale a tempo indeterminato evidentemente incomprimibili. Nessun vantaggio ne deriverebbe persino da una improbabile vendita degli edifi ci e dei terreni dell’Osservatorio, perché l’atto di donazione del 1917 prevedeva in caso di cessazione dell’attività di ricerca che tutti i beni donati allo stato devono tornare ai legittimi eredi. La tesi della scarsa produttività scientifi ca è altrettanto infondata. Nell’ultimo decennio il numero di pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifi che internazionali e andato costantemente aumentando, così come le citazioni ricevute dai lavori pubblicati. Almeno due dei dodici ricercatori dello staff di Teramo hanno raggiunto un valore dell’H-factor (un indice che misura la produttività scientifi ca combinando il numero di pubblicazioni con il numero di citazioni) che li colloca nella top list (5%) dei ricercatori europei in assoluto più produttivi. La media delle pubblicazioni su riviste scientifi che internazionali con referee (ossia con arbitri che giudicano se il lavoro è scientifi camente rilevante e può essere pubblicato) è semprestata superiore a 2 pubblicazioni per ricercatore per anno (la media delle migliori istituzioni scientifiche italiane è intorno ad 1 pubblicazione per ricercatore per anno). Non resta che sperare in un ripensamento del ministro e dei vertici dell’INAF. Le voci che si sono levate per fermare l’accorpamento sono fi nora rimaste inascoltate. Si può pretendere l’autonomia scientifica e finanziaria dell’Osservatorio di Teramo se si è consapevoli che questa centenaria istituzione costituisce un volano per lo sviluppo, un importante punto di riferimento culturale ed economico di tutta la regione adriatica. Tutti, dagli amministratori pubblici ai responsabili economici e fi nanziari, dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori a quelle dell’industria e del commercio, fino ai semplici cittadini, dovrebbero farsi carico di manifestare con atti concreti questa consapevolezza. Ma bisogna muoversi ora, rima che sia troppo tardi.