Sono passati 25 anni da quando Eugenio Finardi, celebre cantautore e artista italiano, recitava in una canzone “mi sento come Willy il coyote, che cade ma non molla mai” e 15 anni sono trascorsi dall’ultima pubblicazione di inediti in italiano. Come Willy, Finardi è tornato con un nuovo album intitolato “Fibrillante”, uscito a febbraio scorso e realizzato in collaborazione con il cantautore Max Casacci, del gruppo musicale “Subsonica”.
Un titolo vivace per descrivere un sound nuovo e molto più ritmato, che ci restituisce un Finardi come l’abbiamo conosciuto, con l’indignazione potente e sfacciata degli anni settanta; 15 anni di sperimentazioni musicali, dal fado al rock, alla musica classica contemporanea (Accadueo,1998) fino al blues, un vestito vibrante e nuovo, per il nostro “extraterrestre” preferito.
In attesa della sua partecipazione all’evento teramano del 06 giugno 2014, gli abbiamo chiesto di raccontarci il suo mondo e la sua musica:
Maestro, con “Palloncino rosso” nasce un rocker dalla forte personalità, con linguaggio italiano e ritmo americano, una forza di contestazione che da tanti è stata condivisa e da molti purtroppo incompresa, non posso non chiederle quale visione ha dell’ attuale momento storico e dei giovani che ne fanno parte. “Credo che stiamo vivendo un brutto momento storico, un momento estremamente reazionario. Questa crisi dovuta alle distorsioni del liberismo sfrenato, questa ideologia diventata devastante, il cui risultato è dolore, povertà e sofferenza, che tante famiglie condividono, è una situazione terribile, inimmaginabile per chi ha vissuto la propria giovinezza negli anni 60 e 70 in cui si pensava che il futuro sarebbe stato unicamente progresso.”
La sua maturità artistica viene fatta coincidere dalla critica con la sua paternità, condivide questo punto di vista? “Mah, io credo di aver fatto delle cose molto belle negli anni ’70 quando ancora non ero padre, ma sicuramente la paternità ha cambiato la mia creatività, mi ha fatto approfondire alcuni temi, mi ha distolto da altri. E’ stato il momento più importante della mia vita, però credo che la maturità artistica in senso stretto sia stata raggiunta prima”.
“Come Savonarola” , uno dei nuovi brani del suo ultimo album, può essere inteso come un nuovo “manifesto sociale” ? “Si, direi che questo ultimo disco è un’esortazione a svegliarsi , ad indignarsi, perché sembra che i media e la politica degli ultimi vent’anni ci abbiano tolto il senso critico. Poi ci sarebbe da riflettere quanto ci dicono che il liberismo sia necessario, quando in realtà secondo me può cambiare, come tante altre cose. Dovremmo tornare a mettere l’umano al centro delle nostre attività anziché il guadagno. Stiamo vivendo un epoca di distorsioni e bassezze sociali. Fibrillante è un disco di lotta, di impegno, come se ne facevano negli anni settanta”.
Che emozioni nascono dall’attesa di questo disco? “E’ stato eccitante fare questo disco insieme alla mia band, a Max Casacci, Manuel Agnelli. E’ un disco collettivo, un’esperienza molto , molto bella! Chiaramente l’attesa è stata “a fiato sospeso”, fatta di aspettative che non sono state deluse. Il disco è stato ben ricevuto ed ha avuto ottime recensioni” .
Quanto ha contribuito l’esperienza del teatro alla creazione di Finardi Bluesman? “Direi che è il contrario, l’esperienza di Finardi bluesman mi ha portato al teatro. Bluesman lo sono sempre stato; ho cominciato all’età di 13 anni a cantare blues, per poi dedicarmi alla scrittura di testi in italiano, è sempre stato parte di me, ma una volta avviata la produzione di canzoni italiane, il blues è diventata un po’ la mia musica segreta, fino ad avere la possibilità di consumare questo amore, nel 2005 con “Animo Blues”, ben ricevuto dal pubblico e che mi ha fatto sperimentare altre novità, altri progetti tra cui il teatro”.
Come ha vissuto l’esperienza teatrale? “Ormai non sono più un artista che fa solo musica, dialogo con il pubblico, comunico, mi piace guardare negli occhi la gente e raccontare. Ho una vita abbastanza lunga e divertente, la gente apprezza molto anche la parte dialogata dello spettacolo. Sono un artista a tutto tondo, ed anche un uomo che ama raccontare e documentare in ogni forma d’arte il periodo storico che ha vissuto”.
In un’intervista recente parlava del proprio lato femminile, ciò che le ha permesso di “sentire” le donne, cosa apporta alla sua musica questo lato di sé? “Credo che ci siano molti cantautori come me, che sono stati in grado di raccontare le donne, di cantare la realtà femminile, e credo che questa sia una grande ricchezza. Soprattutto essere sicuri della propria mascolinità (ride)porta ad accettare anche il lato femminile di ognuno: come le donne hanno un lato maschile, anche gli uomini hanno un lato femminile e accettarlo significa accettare anche una sensibilità più rara, più istintiva”.
Questa sensibilità che la porta a raccontare così accuratamente le donne, pensa abbia influito sulla sua carriera artistica? “Sicuramente si, mi ha permesso di scrivere a persone che si sono riconosciute in quello che cantavo, donne che mi hanno aperto la loro anima”.
Chi è il Finardi degli anni ’70, chi è il Finardi di oggi? “Quello di ieri è un Finardi personaggio, immaginato, un uomo contestatario, più categorico; oggi Finardi è l’uomo di ieri, agguerrito e riflessivo, più sperimentale, ma con la stessa anima! Poi ognuno ha la propria linea, ho scritto anche canzoni dolcissime, canzoni arrabbiate, ironiche, canzoni filosofiche; il Finardi che la maggior parte della gente conosce è il Finardi arrabbiato, ma oggi c’è anche l’uomo sensibile, più dolce”.
Alla Fanteria di Milano è stato accompagnato da sua nipote, la violoncellista Federica Finardi, cosa ha provato a condividere con lei il palco? “Mia nipote è un’ottima violoncellista, capace di improvvisare e seguire senza spartito; sul palco per me è una musicista come gli altri ma è stato molto bello condividere lo spazio musicale con lei.”
Dopo “Tu lo chiami Dio” e “E se Dio fosse uno di noi”, che rapporto ha Eugenio Finardi con la fede? “Credo molto nella spiritualità, la ritengo una grande parte dell’uomo, anche se non sono cattolico. Sono legato a sentimenti come la spiritualità, la grazia, la trascendenza; sono sentimenti che condivido, che cerco, che mi arricchiscono tanto, ma la fede non è uno di questi, non credo che questo vastissimo universo nel quale viviamo sia stato creato da un essere senziente”.
Un uomo ancora pervaso di fervore contestativo, che ha molto da dire sulla società, sull’odierno medioevo e da riscoprire, artisticamente, in tutte le sue sfaccettature: il “fibrillante” Eugenio Finardi.
edizione Maggio 2014 – di Chiara Santarelli