Spiegare la politica italiana fuori dai confini nazionali è impresa ardua, ma lo è, credetemi, anche per i “nativi” spettatori di appuntamenti istituzionali importanti come l’elezione di un Presidente della Repubblica.
Dopo otto giorni di caos il risultato è: “meglio la strada vecchia che una nuova”, visto la nuova non c’è e che un precedente simile (Napolitano bis) aveva già salvato capra e cavoli una decina di anni fa.
Ma perché non c’è una strada nuova?
La crisi della politica italiana è annosa perché tutti i partiti hanno avuto, e hanno ancora in corso, trasformazioni incomplete aggravate da una legge elettorale che non riesce ad esprimere una maggioranza chiara da cui produrre governi stabili o capaci di concludere una legislatura.
Del resto lo stesso Mattarella ebbe diversi dubbi, nel 2018, respingendo in prima istanza l’armata Brancaleone del triunvirato Conte-Di Maio- Salvini. Alla fine, dopo 3 mesi di tentativi vani, si arrese proclamando il governo Conte 1, ma la coabitazione forzata di forze instabili naufragò dopo un’estate.
Da un lato un Movimento, nato dalla “rabbia” populista e aggregata virtualmente da un algoritmo gestito da un’azienda di comunicazione, che accoglieva ogni genere di malumore, rivalsa, voglia di rottura, che però una volta arrivato a sedere sugli scranni del Parlamento scopre la differenza tra il dire e il fare.
Dall’altra un gruppo di partiti tenuti insieme da un personaggio che in modo controverso ha comunque tenuto la scena per un ventennio. Un gruppo che si è posizionato a destra, con reduci e nuove proposte, nell’estenuante lotta per smarcarsi da scomode reminescenze e rifarsi una veste moderna per continuare ad esistere anche nel nuovo millennio.
Nel mezzo, in piena ed eterna contraddizione, il mondo della sinistra, orfana (o dimentica) dei valori da cui nacque.
Cosa accomuna queste diverse compagini?
Ad osservare gli eventi da lontano, una buona dose di autolesionismo: Renzi che affida il suo futuro politico (2016) ad un referendum suicida (per la sua carriera), Salvini che si dissocia dal Conte 1 in piena corsa, tentando, come Renzi a suo tempo, una forzatura sul programma.
Ma se a sinistra eravamo abituati agli auto sabotaggi – ne sa qualcosa Romano Prodi “caduto” per far posto a D’Alema e prima proposto e poi non votato dai suoi stessi promotori come Presidente della Repubblica – a destra il fenomeno è recente ed ha avuto sempre come protagonista lo stesso Salvini.
Uscito Salvini dal governo Conte 1 si realizza un nuovo meltingpot con l’ingresso delle sinistre, o pseudo tali definite, a puntellare il Conte 2. Rientra anche il “senatore semplice” Renzi, con il suo 3% di rappresentanza in cerca di identità ma soprattutto di ruolo.
Accade così che il voto degli italiani di due anni prima si esprime, al governo, con un gruppo di minoranze mentre la maggioranza rimane fuori.
Ma anche il Conte 2 naufraga sotto lo tsunami devastante della pandemia a causa di una classe politica drammaticamente inadeguata e impreparata ad affrontare la deflagrazione sanitaria, sociale ed economica.
Unico baluardo di buon senso lo stoico presidente Sergio Mattarella che, come Napolitano prima di lui, chiama al Governo una persona autorevole, competente, fuori dalle destabilizzate dinamiche politiche, blindando il Governo di Mario Draghi nell’impossibilità di cadere per via del semestre bianco.
Come Renzi a suo tempo, anche Salvini approfitta dell’occasione per risalire sul carro che dovrà gestire i fondi europei della ricostruzione post pandemia. Meglio dentro che fuori, visto che fuori era rimasto solo lui.
Ma il semestre bianco, che precede l’elezione del Presidente della Repubblica, arriva a termine e siamo ai giorni attuali.
Cosa hanno visto gli italiani e il mondo in questi giorni? Hanno visto il drammatico vuoto di proposte autorevoli, di personalità adeguate a sostituire un Uomo delle Istituzioni come Mattarella e continuare a sostenere il Governo Draghi.
Perché, diciamolo chiaramente, la ricerca reale era su un nuovo capo del Governo, non solo di un Presidente.
La fibrillazione che ha fatto saltare il banco è stata infatti proprio sulle conseguenze.
La destra, ostaggio di Berlusconi personaggio ingombrante e divisivo, non riesce a proporre alternative sostenibili. La sinistra magnanimamente si pone in attesa di nomi o forse ha lo stesso problema di carenza di figure adeguate e infine il Movimento, ormai disgregato e in lotta con se stesso con Di Maio che smentisce Conte e viceversa, sono il contesto in cui l’unica soluzione possibile era la riconferma di una situazione, l’unica, che ha tenuto le redini di un Paese stremato dalla pandemia e dalla crisi economica.
La totale mancanza di una visione prospettica e futura della politica italiana nei prossimi mesi, in cui si dovrà ricostruire un Paese come dopo una guerra, un piano economico europeo da gestire con garanzie autorevoli di massima trasparenza, hanno costretto il Parlamento a prorogare il mandato delle due sole persone che in questi mesi hanno rappresentato per gli italiani rassicurazione e stabilità.
Oggi tutti i partiti però raccolgono i cocci delle loro fragilità, dei loro limiti e delle responsabilità delle loro scelte. Ci aspettano giorni di dialettica vivace, per usare un eufemismo, tra i vari colori parlamentari: Nel Movimento c’è il dilemma Conte, un uomo, un avvocato, entrato in politica quasi per caso, senza carisma né spessore, senza visioni, solo tecnicismi e oratoria, uscito dalla porta e rientrato dalla finestra con un incarico di Capo del Movimento, ma continuamente smentito dagli stessi esponenti in Parlamento.
Nel PD c’è una palese distonia tra i vertici e gli elettori, mentre a destra Salvini dovrà fare i conti con i suoi alleati, a cominciare da quella Giorgia Meloni che dall’opposizione, e unica leader donna di un partito, ha dimostrato come la coerenza possa portare le preferenze dal 4 al 20% nel giro di pochi mesi.
Noi continuiamo a cercare di capire come possa succedere tutto questo, spiegarlo è un’altra storia.
Mira Carpineta