di Marcello Lazzerini
A 60 anni di distanza dalla tragica scomparsa della più celebre star di Hollywood, ancora ci si interroga sui misteri della diva. Lo psicologo Pinzani così la descrive: “Talento straordinario, donna coraggiosa e fragile, bellissima e intelligente, un’anima inquieta schiacciata dai poteri forti, vera figura archetipa”. L’arte – Warhol e ‘Nano’ Campeggi in testa – ne ha fatto una figura iconica.
FIRENZE – 60 anni fa, la notte fra il 4 e il 5 agosto del 1962, nel suo bungalow di Brentwood (Los Angeles) veniva scoperto il corpo inerte di Norma Jeane Mortenson, nome d’arte Marilyn Monroe, attrice, cantante, modella e produttrice cinematografica statunitense, tra le più celebri attrici della storia del cinema. Un mito allora, un mito ancora oggi, celebrato nelle arti, nella letteratura, nella moda, oltreché nel cinema e nel teatro. Come si spiega? Ne parliamo con Loris Pinzani, psicologo e psicoterapeuta, che di questa straordinaria figura di donna ha avuto già modo di occuparsi. “Intanto” – ci dice – “il mito non tramonta e lei è una figura archetipa, un talento naturale divenuta la star più famosa al mondo, coraggiosa e fragile, bella e intelligente, un’anima inquieta, schiacciata dai poteri forti. Come si fa a non amarla? E’ chiaro che di fronte a simili fenomeni scatta un processo di immedesimazione, che sta nei nostri desideri…”.
Tanti sono i motivi di fascinazione per i quali Marilyn nella coscienza collettiva è divenuta un mito. Innanzitutto il mistero. Quello della sua morte. E il mistero di ciò che avrebbe potuto ancora fare. E poi c’è l’interesse per una vita davvero difficile fin dall’infanzia, a cui lei ha saputo dare una svolta che l’ha portata ai vertici inimmaginabili che conosciamo, fino alla caduta. Proviamo a ripercorrerla questa vita difficile e breve, conclusasi a soli 36 anni, in solitudine nel suo bungalow di Los Angeles, uccisa per abuso di psicofarmaci grezzi che le sono stati letali. Assunti per quali motivi? Una vita difficile vissuta intensamente in buona parte sotto i riflettori. “Ma c’è anche la parte più dura, che le ha dato un back ground affettivo pesantissimo, un’impronta incancellabile. Per tutta la vita ha cercato di colmare un’affettività carente, senza mai riuscirvi” osserva Pinzani.
Nata il 1 giugno del ’26 a Los Angeles, da Gladys e Pearl Baker, all’età di sette anni, sua madre, Gladys (Monroe) Baker Mortenson, è ricoverata in ospedale come schizofrenica paranoica, la piccola Norma è sballottata di famiglia in famiglia, in alcune delle quali subisce abusi. All’età di sedici decide di sposarsi. E’ il 19 giugno del ’42, il marito è James Dougherty che, nel 1943, si arruola nei Marines e il matrimonio finisce. Ma lui sarà l’unica persona che le resterà vicina fino alla fine. Durante la guerra, Norma Jean lavora alla Radio Plane Company di Van Nuys in California, ma sempre più consapevole della sua bellezza, si iscrive ad un corso di modella. Durerà pochi mesi, poi la voglia di cinema prenderà il sopravvento. Hollywood le apre le porte. Il 26 agosto 1946, firma un contratto della durata di un anno dal valore di 125$ alla settimana, con la Twentieth Century Fox.
È Ben Lyon, responsabile del casting, a suggerire ‘Marilyn Monroe’ come nuovo nome. La giovane attrice non appare in nessun film e nel ‘48 passa alla Columbia Pictures con la quale svolge una piccola parte in ‘Orchidea Bionda’, Nel 1950 il regista John Huston la scrittura in ‘Giungla d’asfalto’ per una breve apparizione, ma poi lei avrà un ruolo importante in ‘Eva contro Eva’. Torna alla Twentieth, dove interpreta 4 film. Nel 1952, la rivista ‘Photoplay’ la definisce come “l’attrice più promettente del secolo”… Aveva visto giusto. E Playboy l’aveva mostrata nei suoi primi numeri, nuda. Uno scandalo per l’America di allora. Che lei, anni dopo, girerà a proprio favore, sostenendo che quegli scatti le erano serviti per pagare l’affitto. Chi non l’avrebbe compresa? Norma vuole arrivare. Il cinema si accorge di lei e le assegna il ruolo di sex symbol che il marito, il campione del baseball Joe Di Maggio, non gradisce.
E’ il 1954. Il matrimonio non durerà neanche un anno. A dare un colpo decisivo alla loro unione la scena di Marilyn che si tiene con gesto divertito la gonna dell’abito bianco sollevato dal vento della metropolitana di New York. Scena girata due volte per richiamare l’attenzione sul film di Billy Wilder, ‘Quando la moglie è in vacanza’. La scena è iconica. Quell’abito è entrato nella storia del cinema sebbene lo stilista William Travilla lo liquidasse con la frase “Era solo uno stupido vestitino bianco”, un vestitino da oltre cinque milioni di dollari, per molti l’abito più famoso della storia del cinema. “I miei abiti per Marilyn erano un atto d’amore, l’adoravo”, dichiarava lo stilista.
Secondo quanto scrisse nella sua autobiografia Billy Wilder, quella notte, le urla di una violenta discussione tra Marilyn e Joe, arrivarono ai vicini di stanza al St. Regis Hotel, al punto che c’è chi sostenne che Di Maggio avesse picchiato Marilyn. “Forse perché aveva origini italiane e gli italiani sono estremamente gelosi”, azzardò George Barris, fotografo di scena. Fatto sta che tre settimane dopo, Marilyn chiese il divorzio. “Le immagini sparirono presto” ricordava Wilder, “ma sono sicuro che un giorno faranno capolino dall’archivio di qualche appassionato”. E infatti eccole riapparire per merito di Jules Schulback, grande fotografo trasferitosi negli Stati Uniti perché, ebreo, doveva fuggire dalla Germania hitleriana. Quel luglio del 1954 Schulback si trovava a New York, dove stavano girando una scena bizzarra e divertente. Non se la fece scappare. Un filmato di pochi secondi, pubblicato dal New York Times, mostrò una Marilyn impegnata a tenere a bada la gonna del suo abito bianco. Quelle riprese fecero il giro del mondo, lasciandoci della diva un ricordo straordinario.
All’epoca, la bellissima Marilyn aveva già operato scelte importanti: la rottura con la Fox, perché stanca dei soliti ruoli, il trasferimento a New York, i corsi all’Actors Studio di Lee e Paula Strasberg (famoso il suo giudizio sui suoi compagni di corso “Ammiro molto tutte queste persone. Non mi sento abbastanza brava per essere considerata una loro pari”), l’apertura di un suo studio, il Marylin Monroe Productions. Nel 1956 appare nel film ‘Fermata d’autobus’, poche settimane prima di sposare il 1° luglio 1956 il noto drammaturgo Arthur Miller. L’intellettuale e la star più famosa del cinema. Che coppia! Lui, impegnato a denunciare i mali dell’America che, con il maccartismo, aveva preso di mira scrittori e cineasti democratici, accusati di filocomunismo, anche lo stesso Miller, lei protagonista di pellicole che diverranno cult movies: ‘A qualcuno piace caldo’, ‘Il principe e la ballerina’, ‘Facciamo l’amore’ e altre ancora. Lei era appena apparsa in ‘Niagara’ che è del ’53 e in ‘Come sposare un milionario’. Lui, aveva messo in scena ‘Crogiuolo’, dramma teatrale sulle vergini di Salem mandate al rogo, un drammatico momento di caccia alle streghe del ‘600, metafora di ciò che avveniva negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, quando Miller ed altri artisti erano “presi sotto osservazione” dalla Commissione per le attività antiamericane, sia sotto la presidenza Truman, che di Eisenhower.
L’arma più utilizzata dai maccartisti era la delazione: chi non faceva i nomi di simpatizzanti comunisti, veniva accusato di oltraggio rischiando di passare guai con la giustizia, ma soprattutto di non poter più scrivere. Molti di essi dovettero ricorrere al falso nome. Woody Allen, racconta questo periodo di attacco alla democrazia, nel film ‘Il prestanome’. Miller non fece alcun nome e riuscì a proseguire il proprio lavoro. Il ‘Crogiuolo’ tornerà in scena a ottobre al Teatro Stabile di Torino con la regia di Filippo Dini. Il matrimonio tra lo scrittore e la star va avanti tra alti e bassi per 5 anni. Un’incrinatura si ha dopo la love story con l’attore cantante francese Yves Montand, durante le riprese del film ‘Facciamo l’amore’ (1960). Lo fecero davvero. E anche il rapporto tra Montand e la Signoret non fu più lo stesso.
“Per Marilyn il sesso sostituisce la carenza affettiva e d’amore”, commenta Pinzani. Il divorzio da Miller è del ’61. Subito dopo l’attrice entra per breve periodo in una clinica psichiatrica di New York. Di quell’ anno è il film ‘Gli spostati’, di cui Miller ha scritto la sceneggiatura. Regista John Houston, interpreti Marilyn Monroe, Clark Gable e Montgomery Clift. È l’ultimo film di Marilyn. Un cowboy di mezza età cattura con metodi crudeli cavalli selvaggi per una fabbrica di mangimi. Ma la sua ragazza, una donna fragile e nevrotica, lo convince a lasciare andare l’animale catturato, simbolo di libertà. Il mito di Marilyn è alimentato anche dalle celebri battute che si ritrovano nei suoi film, come nel finale di ‘A qualcuno piace caldo’, ‘Nessuno è perfetto’ (battuta non sua). O nella sua seducente frase sulla veste da notte preferita: ‘Chanel n.5”, il celebre profumo parigino, di cui era una fan. Ma il momento più iconico è l’apparizione della diva la sera del 19 maggio del ‘62 al Madison Square Garden Gran Gala delle star per raccogliere i fondi a sostegno della campagna elettorale di John Fitzgerald Kennedy e, insieme, festeggiare il suo 45 ° compleanno, con un notevole anticipo essendo lui nato il 29 maggio.
Molti gli artisti presenti (Ella Fitzgerald e Maria Callas, l’attore Henry Fonda ed Harry Belafonte, che si sarebbero esibiti uno per volta sul palco), ma ciò che rimane di quella serata è l’immagine di una Marilyn così sensuale da stupire tutti, con il suo vestito di tessuto elasticizzato color carne tempestato di 2500 perline luccicanti cucite a mano, creato dal costumista francese Jean Louis. Era così attillato che tutti ebbero la sensazione che fosse nuda. E sotto la veste lo era davvero. Era costato 12 mila dollari, ma nel 2016 sarebbe stato venduto all’asta a 4,8 milioni aggiudicandosi il titolo di ‘abito più costoso del mondo’. La sua voce sensuale incantò tutti e il suo ‘Happy Birthday Mr President’, viene continuamente riproposto e parodiato nel mondo. Nel back stage Marilyn incontrò i due fratelli Kennedy, John e Bob, dei quali – scrissero – è stata l’amante. E qui scatta un altro motivo della sua popolarità. Quello di cui parla Pinzani: “l’essersi opposta alla logica implacabile del potere e ai suoi perversi meccanismi, ed esserne poi stata schiacciata. Del mito di Marilyn anche l’arte si è fatta portatrice, facendosi interprete attraverso di lei, di un’epoca”.
Realizzata nel 1962 da Andy Warhol, ‘Gold Marilyn Monroe’ è una delle prime opere che ha creato l’artista in onore della star di Hollywood a seguito della sua scomparsa. Quest’opera è caratterizzata da una grossa tela a sfondo dorato con al centro un’immagine del volto di Marilyn in un formato ridotto. Ne sono seguite tante altre allo scopo di trasformarla in un’immagine sacra e priva di tempo. Tratta da una pellicola del film ‘Niagara’, è servita al maestro della pop art per le sue riproduzioni seriali, dando al volto di Marilyn un’espressione femminile solare e travolgente. Lo scopo era quello di convertire la diva del cinema hollywoodiano in un desiderio di massa. Una delle sue Marilyn si trova al Moma di New York.
Fra coloro che hanno alimentato artisticamente il mito di Marilyn c’è anche l’italiano, anzi il fiorentino Silvano Campeggi, in arte ‘Nano’, colui che – è stato scritto – “ha disegnato il cinema”, in quanto autore di migliaia di manifesti dei film americani, tra cui i celebri ‘Via col vento’ e ‘Casablanca’ (affissi anche nella saletta di proiezione del film Premio Oscar di Giuseppe Tornatore, ‘Nuovo cinema Paradiso’) e moltissimi altri. Nano fu chiamato a Los Angeles dalla Warner Bros a ritrarre dal vivo Marilyn per il poster del film Il principe e la ballerina. “E lei – raccontava Nano – dopo lunga attesa appare in fondo alla grande sala fasciata da un vestito bianco aderentissimo, avanza con incede sinuoso, gira intorno al cavalletto canticchiando soddisfatta, lusingata del fatto che un artista italiano sia lì per ritrarla, e quando mi viene presentata chiede: “Maestro come devo mettermi in posa? Ho solo un’ora di tempo”. “Generalmente dipingo la modella nuda, l’abito, lo aggiungo dopo”. Lei non risponde, poi lentamente comincia a spogliarsi, sorprendendo tutti. E intanto mi chiede notizie di Firenze e dei suoi artisti. Partecipa al ritratto. E alla fine, mi saluta con un bacio.”
Quel dipinto è il manifesto del film per l’Italia. Ma Nano da quell’incontro e dal volto stilizzato della diva disegnato con pochi tratti, ne ha fatto una sua icona, la sua opera più riconoscibile inconfondibile ed eterna. Anche un altro italiano, il grande drammaturgo Mario Fratti, che dal ’63 vive a New York, e dal cui lavoro è stato tratto il musical Nine (7 Tony Award), poi portato sullo schermo da Robert Marshall, ha dedicato a Marilyn, che ha conosciuto, un “dialogo immaginario” ma non troppo per il programma di Radio Vaticana, “Faccia a faccia improbabili”, ideato e curato da Laura De Luca. Dialogo nel quale, Marilyn conversando confidenzialmente con l’intervistatore (lo stesso Mario), rivela la sua timidezza, il rifiuto di essere solo desiderata, di essersi sentita sola, usata, ignorata, incompresa, in quanto – dice – il sogno di noi donne è avere un uomo solo, uomo vero, accanto. Sempre. Quanto c’è di vero in questo ritratto? Forse, di più di quanto non si trovi nei vari libri che sono stati scritti su di lei, o nei film a lei dedicati, l’ultimo dei quali ‘Blonde’ è del 2022, scritto e diretto da Andrew Dominik, basato sull’omonimo romanzo del 1999 da Joyce Carol Oates, che narra la vita dell’attrice (anche il nostro Pieraccioni le ha dedicato un film: Io e Marilyn). Altri ancora ne usciranno, ma sapranno penetrare il mito di Marilyn, o resterà – come vuole il mito – ancora avvolto nel mistero?