Tra utopia sociale e sogno americano
di Giuseppe Lalli
L’AQUILA – Goffredo Palmerini, giornalista e scrittore la cui fama ha da tempo travalicato i confini dell’Abruzzo, non finisce mai di stupirci con la sua prolifica attività editoriale. Ineguagliabile narratore di storie umane esemplari, dalla sua fervida penna escono figure vive, palpitanti, plastiche, che diventano, nelle sue pagine, veri compagni di strada del lettore.
È stato presentato nel pomeriggio del 12 luglio 2023 a L’Aquila, nella sede del Gran Sasso Science Institute, il volume “Il mondo di Mario Fratti”, la sua ultima fatica, se fatica si può definire uno scritto dedicato ad un amico. Tante le testimonianze, dall’Italia e dall’estero, che hanno contrassegnato questo magnifico Memorial per Mario Fratti, trasmesso in diretta e ora disponibile anche in registrazione video.
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Il libro, pubblicato per i tipi della One Group Edizioni, è dedicato all’aquilano Mario Fratti, drammaturgo da poco scomparso a 95 anni (era nato nel capoluogo abruzzese nel 1927) a New York, dove dal 1963 aveva iniziato una feconda esperienza intellettuale, alternando l’insegnamento universitario con la coltivazione di una vena artistica dalla quale sono scaturite un centinaio di opere teatrali, e con il quale Palmerini ha intrattenuto un lungo, sincero ed arricchente rapporto di amicizia.
A beneficio di chi non lo conosce, giova tratteggiare la biografia – raccontata nel libro da lui stesso e ricordata nell’incontro da Palmerini – di questo straordinario personaggio che ha dato lustro alla nostra città in terra americana. Una vita intensa e avventurosa, quella di Mario Fratti.
Nacque all’Aquila il 5 luglio 1927 in via Fortebraccio n. 7, primo di tre figli di Leone Fratti, cameriere con una discreta cultura, e Mimina, casalinga dal carattere sensibile. Conseguì la maturità magistrale. Ancora studente, divenne amico di alcuni giovani che, saliti sulla montagna dopo l’8 settembre 1943 in opposizione all’esercito tedesco invasore, denunciati e catturati, furono uccisi dopo essere stati costretti a scavarsi la fossa. Si tratta dei tristemente celebri nove Martiri aquilani (sulla tragica vicenda, che lo segnò profondamente, Fratti scrisse, verso la fine della sua vita, un lavoro teatrale).
Dopo la maturità, prestò il servizio militare come sottotenente nel Corpo dei Bersaglieri. Dopo il congedo, si iscrisse all’università Ca’ Foscari di Venezia, laureandosi in Lingue e Letterature Straniere. Si sposò con Lina Fedrigo, dalla quale ha avuto due figli: Mirko e Barbara. Iniziò a collaborare con alcuni giornali del nord Italia, cominciando a coltivare la sua passione per la scrittura, dapprima poetica, che lo porterà, verso i trent’anni, a scrivere opere drammaturgiche, ciò che sarà la passione e l’impegno della sua lunga ed operosa vita.
Nel 1959 scrisse un dramma, Il nastro, con il quale vinse un premio Rai per un’opera letteraria destinata alla radio, ma il lavoro non fu mai allestito dalla Rai e quindi mai radio trasmesso, perché giudicato “sovversivo”: parlava di alcuni partigiani che si rifiutavano di parlare e che per questo venivano uccisi dai fascisti.
All’inizio della sua esperienza letteraria, scrisse un romanzo ambientato all’Aquila nel periodo del fascismo e a Venezia negli anni successivi alla Liberazione, ma il crudo realismo dello scritto, in un’Italia che voleva far dimenticare quello che per molti era un imbarazzante passato, non ne permise la pubblicazione (un editore napoletano pubblicherà il manoscritto, da Fratti conservato, nel 2013).
Questa deludente esperienza lo orienterà verso la scrittura dei testi teatrali. Fu così che un suo dramma, Suicidio, rappresentato a Spoleto al Festival dei due Mondi e messo poi in scena con successo a New York per iniziativa di Lee Strasberg (1901–1982), attore e regista teatrale che aveva visto ed apprezzato il lavoro, segnò l’inizio della sua sfolgorante carriera teatrale americana. Questo fatto cambiò la sua vita. La crescente attenzione che la critica e i gli impresari teatrali gli riservarono gli giovarono il conferimento di incarichi universitari.
Si sposò in seconde nozze con Laura Dubman, una talentuosa pianista dalla quale ha avuto la figlia Valentina, una valente attrice e regista teatrale. Nonostante i critici le predicessero una brillante carriera artistica, Laura preferì dedicarsi all’insegnamento di quella tecnica pianistica che possedeva in sommo grado, ciò che le fece conoscere Katharine Hepburn, la grande attrice con la quale strinse una forte amicizia. Alla creazione di innumerevoli opere teatrali, per le quali ha ricevuto numerosi premi e attestati, Fratti ha aggiunto una intensa attività pubblicistica in giornali e riviste americane.
In occasione del suo 80° compleanno, la sua amata città dell’Aquila e il Teatro Stabile d’Abruzzo, con la “complicità” del suo amico Goffredo Palmerini, gli regalarono una memorabile giornata di festa. Un’altra festa, da lui non meno gradita, gli fu tributata da Consiglio Regionale abruzzese in occasione del suo 90° genetliaco. Era felice, perché la sua terra lo aveva riconosciuto, contravvenendo per lui al principio che nessuno è profeta in patria.
Con Mario la vita è stata generosa di successi e di anni. Egli stesso raccontava, non senza una vena di compiacenza che, avendogli anni addietro una chiromante incontrata a San Pietroburgo pronosticato ben 99 anni di vita (99 è numero perfetto per un aquilano, come lui non mancava argutamente di osservare), ne avrebbe volentieri accettati di più, dal momento che sentiva di avere ancora molte cose da fare.
Liliana Biondi, già docente di critica letteraria all’Università degli Studi dell’Aquila, dove il celebre drammaturgo aquilano-americano fu accolto in occasione della presentazione di una sua novità editoriale, la silloge Volti, e che seppe trarre dai suoi versi il profondo spessore artistico dell’autore, ricordando nel libro l’incontro che ebbe con lui allorché lo conobbe all’Hunter College (università dove Fratti ha insegnato fino al suo pensionamento) in occasione di un convegno internazionale di studi dedicato alla figura di Ignazio Silone nel ventennale sua morte, ne fa, con poche pennellate di stile, un ritratto assai accattivante e veritiero, descrivendolo come una persona
[…] dall’innata abilità osservatrice: occhi azzurri, vivaci e mobilissimi e uno sguardo penetrante che sul volto sempre atteggiato a sorriso si convertiva immediatamente in parola: un paragone, una metafora, un giudizio di valore talvolta mordace, ma talmente vero che, impressionata, gli confessai che non osavo chiedergli cosa cogliesse in me […]. Quello che mi colpì in lui, fu questo duplice aspetto: una intelligenza simpaticamente estroversa ed arguta che sottendeva ad un certo scetticismo, ad una velata, generale, malinconica diffidenza verso tanta esteriorità, dove, tuttavia, egli si muoveva bene e a suo agio.
Vero uomo di testa e di cuore, dunque, e provvisto, come queste poche ed eloquenti righe mostrano, di una buona dose di ironia e persino, all’occorrenza, di sarcasmo. La stampa americana ha inserito Mario Fratti, insieme a Eduardo De Filippo, Ugo Betti e Luigi Pirandello, tra i massimi autori di teatro italiani.
Un dato colpisce della biografia di Fratti. Egli, come tanti giovani intellettuali italiani della sua generazione nel dopoguerra, fu attratto dal comunismo, si innamorò, come scrive sua figlia Valentina, della ideologia marxista–leninista, identificando forse in questa ideologia lo strumento teorico e politico del riscatto di quella povera gente che lui aveva conosciuto nella sua non facile infanzia e giovinezza. La storia del Novecento ha mostrato il vero volto di questa ideologia: materialistico e sostanzialmente disumano, ancorché abbia incarnato per molto tempo e per milioni di persone le esigenze della giustizia sociale.
Mario Fratti, uomo intellettualmente onesto, avrà sicuramente preso atto di questa dura lezione della storia, e avrà finito per apprezzare quella società americana che, pur tra contraddizioni e limiti, è terra di libertà, che gli ha consentito persino quello che l’Italia gli aveva negato. C’è da credere (un’attenta lettura delle sue opere ce lo confermerebbe) che, al netto delle disillusioni, la giovanile utopia sociale, mantenuta da vecchio come orizzonte morale cui uniformare il proprio comportamento, ha convissuto con il “sogno americano”, quello che portò agli inizi del secolo scorso il nonno dello scrivente ad andare a lavorare nelle miniere di carbone della Pennsylvania.
Esemplare, a questo riguardo, il giudizio – riportato nella seconda di copertina del libro – che dell’opera di Fratti dava Paul Thomas Nolan, professore della University of Southwestern Louisiana scomparso nel 1995, secondo il quale il grande drammaturgo italo–americano ha dimostrato che si possono fondere i caratteri della tradizione letteraria europea con l’esperienza americana, dando così vita ad un’opera davvero originale cui possono attingere tanto gli europei quanto gli americani, figli di una stessa civiltà.
“Fratti – scriveva tra l’altro Nolan – mostra più fede nel sogno americano di quanta ne abbiano gli autori locali […]: sta aiutando gli americani a scoprire il loro paese. […]”
Non c’è nessun ombra di provincialismo in questo figlio dell’Abruzzo per il resto molto legato alle sue radici. Si ha l’impressione che i nostri connazionali diano il meglio di sé quando stanno all’estero: è questo un destino e una vocazione che lo scritto di Mario Fratti ci ribadisce. Quest’ultimo libro di Palmerini è un ponte ideale tra il Gran Sasso e New York, pieno di suggestioni, e non estraneo al vissuto di tanti italiani, tra i quali lo scrivente. Grazie, carissimo Goffredo.