Nei ricordi di Matteo Del Fuoco le differenze tra e le inchieste di ieri e le “fiction” investigative di oggi. Terzo appuntamento con Matteo Del Fuoco e i ricordi di un passato ancora prepotentemente sentito. Quando la passione per il lavoro era una eterna competizione, prima di tutto con se stessi, poi con i criminali e perché
no, anche con i “colleghi” carabinieri, per arrivare per primi a scoprire, a capire, a risolvere i casi più complessi. Una competizione sana, una ricerca della verità che aveva il solo scopo di concludere le indagini nel minor tempo possibile: “Perché il tempo è fondamentale, per arrivare alla soluzione – sostiene l’ex vice questore – più ne trascorre e più ci si allontana dalla possibilità di concludere positivamente l’indagine. Era necessario saper leggere le tracce e capire le personalità di chi commetteva i reati, per seguirli o anticiparli nei successivi passaggi. Oggi le moderne tecnologie sono in grado di fornire informazioni molto più precise, ma è sempre l’investigatore, con le sue capacità logiche a mettere insieme in modo giusto tutti i pezzi del puzzle.” Ma come mai allora oggi, sono così tanti i casi insoluti? “Oggi molte indagini vengono trasformate in fiction – aggiunge Del Fuoco -. Tutti protagonisti di un circo mediatico che dice, non dice, suppone, dichiara e smentisce. Tante tesi, tante versioni, un inquinamento costante che allontana dalla verità, invece che perseguirla. Conversazioni estrapolate dai contesti, manipolate e rimaneggiate. Troppe intrusioni nelle attività di indagine, troppe dichiarazioni, troppe v e r b a l i z z a z i o n i che non fanno che appesantire il lavoro degli investigatori, per questo la tempistica è fondamentale. E l’immaginazione. Quella dei grandi investigatori, che con il loro intuito, la loro capacità di cogliere i particolari e di metterli insieme, riuscivano ad arrivare alla soluzione anche senza sofi sticate tecnologie”.