Con il contratto di agenzia una parte (detta agente) assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra (detta preponente) e verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.
Di norma il contratto di agenzia è a tempo indeterminato, e tale caratteristica permette all’agente non solo di acquisire una buona professionalità, ma anche e soprattutto di creare una rete di clienti.
È un contratto cosiddetto di durata, ed è possibile il recesso sia da parte dell’agente e sia da parte del preponente.
La legge, all’articolo 1751 del codice civile, disciplina proprio il momento dell’estinzione del rapporto di agenzia, prevedendo una normativa di tutela per l’agente che, similmente a quanto accade nel rapporto di lavoro subordinato, costituisce la parte più debole.
La norma indicata, infatti, stabilisce che all’atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all’agente una indennità se ricorrono le seguenti condizioni: l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.
Tale indennità non è dovuta solo se il contratto di agenzia viene risolto per un grave inadempimento dell’agente, ovvero se quest’ultimo volontariamente recede dal contratto (ad esclusione dei casi in cui il recesso è dovuto all’età, all’infermità o a malattia, vale a dire a cause indipendenti dalla volontà dell’agente e che non permettono la prosecuzione del rapporto di collaborazione).
L’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione; la legge indica quindi la misura massima della indennità, stabilendo anche che le disposizioni sono inderogabili a svantaggio dell’agente.
Anche se la lettera della legge è chiara, vi sono stati numerosi casi in cui si è reso necessario l’intervento del Giudice del Lavoro.
Una recente sentenza del Tribunale di Reggio Emilia (sentenza n. 1172/2014) è intervenuta sulla indennità di fine rapporto, richiamandosi ad una serie di pronunce della Corte di Cassazione.
L’agente aveva citato in giudizio la preponente chiedendo la corresponsione della indennità di cessazione del rapporto ex art 1751 codice civile, ma la preponente si era opposta eccependo la pattuizione, per iscritto, di un’altra (e più bassa) indennità, già corrisposta.
Il Tribunale, previa escussione di alcuni testi e nomina di un consulente tecnico d’ufficio per la determinazione dell’indennità ai sensi dell’art 1751 cc, aveva indicato – ed applicato – un consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, in base al quale l’indennità prevista dalla norma del codice civile indicata non può mai essere sostituita da altra determinata contrattualmente secondo criteri diversi, a meno che tali criteri assicurino all’agente una indennità superiore a quella calcolata ai sensi dell’art. 1751 codice civile (Cass. Civ. nn. 18413/2013, 15203/2010, 23966/2008, 4056/2008, 21088/2007, 16347/2007, 9538/2007). In altri termini è possibile prevedere contrattualmente solo una indennità di cessazione di rapporto migliore di quella disciplinata dall’art. 1751 cc poiché, in caso opposto, si applicherà tale norma, anche se contraria ad un accordo scritto tra le parti.
L’orientamento della Cassazione ben può definirsi ‘granitico’ in quanto anche con una recentissima pronuncia è stato ribadito che l’art. 1751 codice civile si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, poiché la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive (Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 1.4.2014, n. 7567).
Gianfranco PUCA – Avvocato – Patrocinante in Cassazione.
Prima Pagina edizione Ott 2015