“Autocoscienza di massa” invoca il Censis a corollario del Rapporto annuale che fotografa un Paese triste, disincantato e ripiegato su stesso. Ma rassegnazione o cinismo che sia, trova il suo punto di massima (o minima, dipende sempre dal punto di vista) conferma in un ennesimo episodio di familismo all’italiana che nulla ha a che vedere con i motivi illustrati nel Rapporto (o non solo con essi) in quanto rappresenta una consuetudine arcaica della nostra società. In un suo acuto commento, Massimo Gramellini, vice-direttore de La Stampa, racconta come questa consuetudine riesca a permeare ogni ambito del nostro vivere, compreso il Censis stesso, dove si verifica che il suo presidente, Giuseppe De Rita, dopo aver spiegato che “…L’Italia è un Paese che umilia i giovani, dove solo una sparuta minoranza immagina che l’intelligenza serva a farsi strada nella vita e dove anche la cultura e l’istruzione godono di scarsa considerazione. Dove i ragazzi italiani credono che per fare carriera servano le conoscenze giuste e i legami familiari, procede alla nomina del nuovo direttore generale del Censis, l’ingegner Giorgio De Rita. Sulle prime molti pensano a un caso di omonimia – scrive Gramellini – Invece no, Giorgio è proprio figlio di Giuseppe. Fortunatamente non si tratta di raccomandazione, familismo o conflitto di interesse, fenomeni già catechizzati da De Rita (Giuseppe) in una dozzina di rapporti Censis. De Rita (Giuseppe) ha scelto De Rita (Giorgio) in quanto è il più bravo di tutti. E se tuo figlio è il migliore, non dargli il posto solo perché la nomina dipende da te sarebbe una discriminazione all’incontrario. Qualsiasi interpretazione diversa, sostiene De Rita (Giuseppe, ma probabilmente anche Giorgio), significa «cercare a oltranza il capello».