“L’infelicità araba è anche lo sguardo degli altri.
Quello sguardo che impedisce persino la fuga, e che, sospettoso o condiscendente che sia, ti rimanda alla tua condizione ritenuta ineluttabile, ridicolizza la tua impotenza, condanna a priori la tua speranza.
E, spesso, ti ferma alle frontiere. Bisogna aver avuto il passaporto di uno stato canaglia per sapere quanto può avere di definitivo uno sguardo di quel genere.”
Samir Kassir, intellettuale beirutino che ha combattuto per la libertà e l’indipendenza del Libano dalla Siria, è stato ucciso dieci anni fa nel corso di un attentato terroristico; eppure il suo ultimo saggio, L’infelicità araba, oggi è più vivo che mai; e le sue parole, citate sopra, sono taglienti come lame.
Non è bello, afferma Kassir, essere arabo, tra il senso di persecuzione per alcuni e l’odio di sé per altri. Non è piacevole vivere nella zona del pianeta in cui l’uomo, e in particolare la donna, hanno minori opportunità e sperimentano quindi una perenne angoscia che pare senza soluzione. È vergognoso l’uso della parola ‘arabo’ che impera ovunque, finendo per voler dire ‘infame’,
Forse non tutti sanno che una condizione meschina tale non esiste da sempre: senza citare l’età dell’oro della civiltà musulmana, c’è stata un’epoca più recente, che si colloca nel XIX secolo, la cosiddetta Nahda – Rinascita- durante la quale molte società arabe sono giunte a un notevole progresso: nella letteratura, nell’arte, nella musica, nel cinema, nei costumi sociali, addirittura nella democrazia per quanto concerne l’Egitto di Nasser e l’Algeria indipendente, modelli di comportamento per l’intero continente africano.
Perché si è fermato questo tempo che restava connesso ad un futuro migliore così a portata di mano? Kassir analizza le cause del fenomeno, riconducibili a una situazione precipitata alla fine della Prima Guerra Mondiale, con la spartizione del Medio Oriente a vantaggio delle potenze occidentali: perciò al deficit democratico, alla mancanza di potere nelle relazioni internazionali, all’egemonia straniera di stampo neocoloniale, diretta o indiretta, alla sfiducia nei confronti dei governi in carica, si deve l’idea di minaccia che affligge gli arabi, e che porta molti tra loro a ricorrere alla religione e all’Islam fondamentalista per rispondere a poteri ritenuti incapaci e iniqui.
È pensabile che i rassegnati abbandonino il culto della sventura e costruiscano un futuro diverso, nel quale essere liberi e protagonisti?
Sì, a parere del nostro autore: possono riuscirci attraverso il pluralismo culturale e politico, che costituisce l’inizio di una replica alla tristezza e che è il risultato della modernità. Perché l’infelicità è figlia senza dubbio del suo mancato compimento.
Samir Kassir – L’infelicità araba – Torino, Einaudi, 2006
di Simona Cascetti