Un paese dove ogni regola è sovvertita o vissuta in modo totalmente diverso, “indigenizzato” direbbe il sociologo Arjun Appaduraj. Un modo di vivere rielaborato in base agli usi e costumi locali e utilizzato in modo da rispecchiarne la società.
A Teramo succede proprio questo.
Un voto plebiscitario e da record europei premia il partito di Renzi, ma il suo candidato sindaco, qui, viene respinto al ballottaggio. E in un momento in cui alla Regione, un altro cambio al vertice, avrebbe forse confermato quella “linea” di collegamento che, per altra espressione politica, ha unito la filiera Comune, Provincia, Regione nei 5 anni precedenti. Ma non basta. C’è di più.
Mentre tutto il mondo politico ed economico, spinge verso una privatizzazione più estesa, e sempre Renzi, ha dimezzato il numero delle aziende “municipalizzate”, a Teramo i sindacati lanciano la proposta di una completa municipalizzazione della TEAM, con passaggio totale alla gestione pubblica. E al sindaco la proposta forse non dispiace.
Ma dalla parte dei privati le cose non hanno un altro sapore. Quando abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi e nelle orecchie i “mantra” che ripetono che per vincere la crisi è necessario “fare rete”, unire le forze e dividere i costi, e quando vediamo esempi di successo in altre regioni, dove la logica dei consorzi, delle reti di imprese e delle associazioni di categoria, ha consentito il salvataggio di patrimoni economici, la domanda viene fuori da sé: perché a Teramo questo non si verifica? Perchè a Teramo in realtà i gruppi ci sono, piccoli e grandi, ma chiusi, a compartimenti stagni.
Sono i “4 amici al bar “ che (non ) decidono le sorti economiche della città, ma solo la sua fine.
PrimaPagina edizione Luglio 2014 – di Mira Carpineta