Immagini shock sul web: diritto di cronaca o violazione della privacy?
Vittime del terrorismo decapitate, foto di adolescenti violate nella loro intimità, animali torturati:
è questo il mercato raccapricciante delle immagini da cui siamo sommersi nel mondo dei social network.
Da ultimo, la foto della decapitazione del giornalista americano James Foley che ha fatto il giro del mondo suscitando orrore e vituperio in tutto il globo.
Viene da chiedersi dove finisca il limite del dovere di informare e dove inizi la libertà di rendere pubbliche queste oscenità.
Il problema non crediamo riguardi il diritto di cronaca, visto che spesso proprio le immagini e i video che giornalisti raccolgono, costituiscono materiale prezioso per gli inquirenti di inchieste illegali. Il problema semmai è come vengono rese pubbliche certe foto e informazioni. E’ giusto, oltre al tremendo, barbaro omicidio commesso
da terroristi jihadisti dell’Isis, che questo movimento esaltato ottenga anche una grande pubblicità e scalpore mondiale? Non si rischia in questo modo di farne degli “eroi” , Dio ci scampi, da emulare?
Prese le dovute distanze da chi si arroga il diritto di eliminare una vita umana in nome di chissà quale ideale religioso, che di cristiano non ha assolutamente nulla, cosa dire di ragazze che per un errore di gioventù, per una
sconsideratezza, vengono messe alla ribalta morbosa di chi si accanisce a voler guardare le oscenità di cui sono state oggetto, con o senza il loro consenso? Che bisogno c’è di scendere nei dettagli, di pubblicare i particolari più scabrosi? Non è un modo ulteriore di infliggere a queste povere ragazze umiliazioni su umiliazioni? Vergogna su vergogna? Potranno mai riprendere una vita “normale”?
E poi gli animali martoriati. A parte che spesso si tratta solo di falsi costruiti ad arte, l’arte (?)
idiota di seminare orrore, non sarebbe il caso di ignorare questi sadici, fanatici del raccapriccio, semplicemente NON cliccando su quello che pubblicano e facendoli finire in un sacrosanto SPAM (spazzatura) che è il posto dove
meritano di finire? E sì: perché ogni click, ogni visualizzazione di questi atti orrendi, ogni commento arrabbiato
che ci esce dallo stomaco, non fa altro che rendere felici le menti malate degli autori stessi;
offriamo loro su un piatto d’argento una visibilità virtuale che li rende fieri delle loro bravate e li spingono a continuare.
Suscitare reazioni, qualunque esse siano: ecco quale è il proposito di questi soggetti mentalmente disturbati, ed ogni nostra reazione di raccapriccio, li rende fieri e soddisfatti perché si creano una loro audience, raggiungono lo
scopo di farsi notare, il famoso “purchè se ne parli”. In un certo senso, guardandoli e reagendo con raccapriccio, procuriamo e incoraggiamo, involontariamente, la felicità di questi soggetti malati di sadismo.
La triste realtà è che oggi il web è un mare immenso senza né timonieri né capitani che indichino una rotta. Le norme invocate sono tante, ma sono rimaste finora lettera morta.
Non ci sono regole che separino il diritto di cronaca e il sacrosanto diritto alla privacy.
L’Authority non si degna di intervenire stabilendo regole e norme da osservare e le penalità per chi non le rispetta, specie le testate o i siti a pagamento. Zero proposte da qualsivoglia voce autorevole. E se è pur vero che tutti
i media e i siti web sono stati richiamati, ma solo genericamente, al rigoroso rispetto del Codice deontologico dei giornalisti, o della Carta di Treviso quando si tratta di minori, la realtà è che tutti si comportano anarchicamente,
badando solo ai profitti e senza osservare minimamente le basilari regole della corretta e sana informazione.
Business are business.
PrimaPagina edizione Settembre 2014 – di Mafalda Bruno