L’AUTISMO E LA RIVOLUZIONE DEL METODO ABA
Martina è una bellissima adolescente di quindici anni; quando ne aveva due, un celebre neuropsichiatra infantile redasse per lei una diagnosi di disordine pervasivo dello sviluppo.
Fino ai diciassette mesi, Martina aveva osservato interessata il mondo attorno a lei; aveva camminato, parlato e giocato come gli altri bambini della sua età. Poi, un inverno, il distacco, progressivo e lacerante, un lungo momento di non ritorno: gli occhi dalla bimba non cercavano più quelli della madre e del padre, le parole erano sempre meno, ad un certo punto quasi del tutto assenti, l’atteggiamento verso la vita distaccato e lontano.
Crescendo, Martina cominciava a manifestare una estenuante serie di comportamenti problema: ciondolava continuamente, mostrava atteggiamenti ossessivi, urlava in modo penetrante, per ore ed ore, fuggiva in spazi aperti, distruggeva tutti gli oggetti che le capitavano in mano.
Le insegnanti di sostegno della scuola materna e primaria, disperate, la rincorrevano dovunque; i loro interventi erano programmati con attenzione, ma non pertinenti, e non avevano alcun effetto neppure sul breve periodo.
I genitori di Martina, due professionisti caparbi e pieni di coraggio, non accettavano questa assenza di progressi, non tolleravano la visione di una sofferenza così grande per la propria figlia, si preoccupavano per il suo destino in un futuro senza di loro. “Quando non ci saremo più chi vorrà stare con una disabile che urla come un’ossessa e rompe tutto?” si chiedevano continuamente.
Poi, nel 2008, la svolta: i due, attraverso una nota associazione, sentivano parlare per la prima volta del Metodo ABA e dei suoi successi nel trattamento dei bambini con disturbi dello spettro autistico. Il desiderio di trovare nuove strade da percorrere insieme a Martina era fortissimo: la bambina, spiegava la specialista del Metodo, poteva diminuire i comportamenti problema, poteva apprendere, poteva migliorare tutte le sue prestazioni.
Era necessario che l’intera famiglia cambiasse radicalmente il proprio modo di vivere nell’effettuare il programma che l’analista avrebbe realizzato: 40 ore settimanali, da svolgere a scuola e a casa, con educatori specializzati e genitori coinvolti quali tutor all’interno delle sessioni.
Tentare fino all’ultimo era un imperativo per i genitori di Martina, che ormai frequentava la quarta elementare e che, forse, era ancora in tempo per cambiare.
Sono passati sei anni da quel giorno: lo scorso giugno Martina, assistita dall’intero team ABA che la segue ancora oggi, ha terminato la scuola media: i comportamenti problema sono ridotti in modo evidente, le abilità ‘accademiche’ di lettura, scrittura e calcolo davvero discrete, le autonomie e la comunicazione notevolmente migliorate. Martina è, oggi, una persona nuova: a detta dei suoi genitori, una figlia ritrovata.
La letteratura scientifica internazionale e le Linee Guida per l’autismo – Raccomandazioni tecniche ed operative per i servizi di neuropsichiatria dell’età evolutiva redatte dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (S.I.N.P.I.A.) – affermano con chiarezza che l’Applied Behavioural Analysis (ABA) è considerata la terapia di scelta per i disturbi dello spettro autistico, l’unico approccio la cui validità ha avuto conferme scientifiche.
L’ABA è l’uso dei principi scientifici dell’analisi comportamentale applicata per la modifica di comportamenti socialmente significativi; non conosce limitazioni relative ad età o a patologie e non è appannaggio esclusivo degli specialisti in autismo. In tutte le situazioni in cui è necessario un cambiamento comportamentale, intendendo per comportamento qualunque cosa venga fatta o detta che abbia un effetto sull’ambiente, l’ABA offre strumenti per intervenire con risultati comprovati; un paziente che manifesta un comportamento adeguato, spontaneo o indotto, viene premiato; lo stesso paziente che, invece, mostra un comportamento inadeguato, non viene punito, ma è ignorato, e viene addestrato ad un comportamento più adatto. La chiave per implementare la comparsa del comportamento corretto è il rinforzo -alimentare, personale, sociale, ludico-, che, scelto con estrema attenzione dal terapista in relazione alle preferenze del suo utente, convince quest’ultimo a fornire agli stimoli risposte adeguate e a ripeterle nel tempo.
Chi può applicare l’ABA ad un bambino con autismo? Non chiunque; il percorso per ottenere la specializzazione è molto complesso e costoso e la formazione permanente dura tutta la vita.
L’Associazione per l’Analisi Comportamentale, per regolare l’operato di chi applica il Metodo, ha indetto dal 2000 la Commissione per la Certificazione degli Analisti Comportamentali (BACB), che fornisce attestati a coloro che hanno completato il master post universitario teorico e pratico in ABA. L’attestato richiede il rinnovo annuale e impone all’analista di accumulare ogni anno crediti di formazione specifica.
La decisione di intraprendere un percorso ABA è un impegno importante e gravoso per il bambino autistico e per la sua famiglia. I genitori e i fratelli sono parte integrante e fondamentale del programma: compatibilmente con le proprie esigenze, attitudini e capacità, vengono istruiti ed incoraggiati ad intervenire sui propri figli in sessioni di lavoro uno ad uno.
Le riunioni del team, composto dal consulente, dagli educatori tutor, dall’insegnante specializzato, dalla famiglia e dal paziente, si svolgono negli ambienti che il bambino naturalmente frequenta, quali la casa e la scuola: una condizione necessaria, questa, per valutare l’utente nella sua quotidianità, per pensare a come produrre cambiamenti significativi nei suoi atteggiamenti e nelle sue interazioni reali, per creare un progetto personalizzato.
Di certo, l’ABA è un cambio di vita. È soprattutto un’assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori che decidono di intraprendere il cammino del Metodo con un bambino autistico.
Il lavoro è duro per la famiglia, per gli educatori e per gli insegnanti: è necessario saper agire con rigore, comprendere l’utilità del presentare a certi utenti gli stessi esercizi per lunghi periodi, esercitare un’estrema precisione nella presa dei dati, affidarsi ad un consulente che prende decisioni e chiede la massima collaborazione per la realizzazione del programma, per le riunioni durante la settimana e per i workshop nel weekend.
L’insegnate di sostegno deve mettere da parte l’idea di sé che lo vede come principale ideatore del Piano Educativo Personalizzato e responsabile della didattica ed imparare a collaborare con un esperto esterno alla scuola, la cui importanza per la famiglia è di certo superiore alla sua.
L’ABA è una rivoluzione, come lo sono d’altronde gli altri metodi speciali con cui si può rendere significativo l’insegnamento ai bambini disabili.
Nel corso dei miei dieci anni a scuola, ho spesso ascoltato colleghi inveire contro i metodi comportamentisti, contro l’addestramento, contro “i bambini educati come i cani”; io credo che docenti preparati e sensibili sappiano scegliere senza preclusioni la metodologia da usare a seconda della patologia del bambino, nella certezza che anche l’addestramento abbia un senso quando l’obiettivo è l’autonomia di un individuo.
di Simona Cascetti