L’anno scorso il 24,9 per cento delle famiglie con reddito principale da lavoro onomo ha vissuto con una disponibilità economica inferiore a 9.455 euro annui (soglia di povertà totale calcolata dall’Istat). Praticamente una su quattro si è trovata in una condizione di vita non accettabile.
Per quelle con reddito da pensioni/trasferimenti sociali e da lavoro dipendente, invece, la percentuale al di sotto della soglia di povertà è stata inferiore. Per le prime, infatti, l’incidenza si è attestata al 20,9 per cento, per le seconde al 14,6 per cento.
Tra il 2010 e il 2014 la quota di nuclei familiari in cattive condizioni economiche è aumentata di 1,2 punti percentuali. Per i pensionati la povertà è scesa dell’1 per cento, tra i dipendenti è aumentata dell’1 per cento, mentre tra il cosiddetto popolo delle partite Iva l’incremento è stato del 5,1 per cento, anche se va sottolineato che nell’ultimo anno la variazione è stata pressoché nulla.
L’elaborazione è stata messa a punto dall’Ufficio studi della CGIA.
“Purtroppo – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – questi dati dimostrano che la precarietà presente nel mondo del lavoro si concentra soprattutto tra il popolo delle partite Iva. Sia chiaro, la questione non va affrontata ipotizzando di togliere alcune garanzie ai lavoratori dipendenti per darle agli autonomi, ma allargando l’impiego di alcuni ammortizzatori sociali anche a questi ultimi che, almeno in parte, dovrebbero finanziarseli”.
Il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA prosegue la sua riflessione mettendo in luce alcuni aspetti molto interessanti:
“Quando un lavoratore dipendente perde momentaneamente il posto di lavoro può disporre di diverse misure di sostegno al reddito. E nel caso venga licenziato può contare anche su una indennità di disoccupazione. Un autonomo, invece, non ha alcun paracadute. Una volta chiusa l’attività è costretto a rimettersi in gioco affrontando una serie di sfide per molti versi impossibili. Oggigiorno è difficile trovare un’altra occupazione; l’età spesso non più giovanissima e le difficoltà congiunturali costituiscono un ostacolo insormontabile al reinserimento nel mondo del lavoro”.
La CGIA fa notare che dall’inizio della crisi (2008) al primo semestre di quest’anno, gli autonomi (ovvero, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, i liberi professionisti, i coadiuvanti familiari, etc.) sono diminuiti di quasi 260 mila unità: del 4,8 per cento. La platea dei lavoratori dipendenti, invece, si è ridotta di 408.400 unità, anche se in termini percentuali è diminuita “solo” del 2,4 per cento cioè della metà.
Dall’inizio della crisi ad oggi, gli autonomi hanno segnato la contrazione peggiore in Emilia Romagna (-14,6 per cento), in Campania (-13,7 per cento) e in Calabria (13,3 per cento). Di rilievo, invece, la performance ottenuta dal Lazio (+10,1 per cento) e dal Veneto (+5,3 per cento).
“Non è da escludere – conclude Zabeo – che l’incremento registrato in Veneto sia in buona parte dovuto alle decisioni prese da molte aziende che, a seguito della crisi, hanno trasformato il rapporto di lavoro di molti dipendenti in forme di lavoro autonomo, invitando molte persone ad aprirsi la partita Iva. Nel caso del Lazio, invece, il dato si accompagna al contesto economico regionale, dominato dall’economia dei servizi che ha superato meglio le difficoltà di questi anni, permettendo una crescita e di conseguenza un deciso incremento occupazionale anche degli autonomi”.
Per quanto concerne le quattro ripartizioni geografiche, tra il 2008 e il primo semestre di quest’anno la riduzione più importante si è verificata nel Mezzogiorno ed è stata del 7,5 per cento (- 120.700 unità). Segue il Nordest con il -5,8 per cento (-67.800 unità) e il Nordovest con il -5,3 per cento (-82.500 unità). Solo il Centro ha segnato una crescita positiva dell’1 per cento (+11.300 unità).