Meleperebanaaaaane!
Il richiamo di Assunta, anafora perfetta, compare ben diciannove volte tra le righe del racconto di Maddalena Francavilla, insegnante nella scuola secondaria di primo grado e intellettuale foggiana, da anni residente a Bologna.
Assunta grida forte. Grida perché appartiene al ceto sociale per cui il tono di voce alto è l’abitudine opposta al mormorìo borghese. Il padre le ha lasciato in eredità una bancarella di frutta e verdura: e lei la apre all’alba tutte le mattine, al mercato, per vendere merce fresca e variopinta.
Da bambina, Assunta sognava di girare il mondo; invece ha sempre vissuto nella città di nascita: un’intera esistenza nel medesimo quartiere, anzi, intorno allo stesso palazzo; sua madre l’ha tenuta d’occhio quanto bastava per accompagnarla nelle rinunce famigliari, sperando però che le rifiutasse presto, che desiderasse prendere le distanze dallo squallore almeno per innamorarsi e cambiare il destino. Invece no. Assunta ha trovato marito sotto casa: un uomo dipendente, che sa solo mangiare il cibo preparato per lui da altri; un energumeno privo di sicurezza, amante di se stesso e dedito al disprezzo delle difficoltà che la moglie affronta ogni giorno: il lavoro, le faccende, i bambini, la stanchezza, l’orrida sequenza ripetuta all’infinito senza soluzione di continuità mentre lui, seduto comodo, controlla.
E la picchia.
La storia di Assunta è simile a quella di tante donne in differenti tempi e condizioni economico-culturali: una vita insopportabile, la sensazione di non poterne uscire, un marito che si irrita facilmente e sfoga le frustrazioni mettendo le mani addosso ai congiunti più indifesi, le bugie affastellate perché nulla emerga, nessun livido sia visibile.
Fin quasi al termine del testo, Assunta appare nelle vesti di vinta verghiana: condannata all’infelicità e al dolore, in una dimensione personale sconosciuta agli altri, sembra destinata all’immobilismo, a marcire nelle circostanze in cui è venuta al mondo e diventata adulta. Forse crede nell’insegnamento dell’esperienza: meglio non giocare le proprie carte, rischiando di andare incontro a pene maggiori, tanto più tristi quanto più alta è stata l’aspirazione alla serenità.
Maddalena Francavilla adegua la lingua dell’opera alla realtà della protagonista: sceglie un lessico quotidiano e una sintassi misurata di indiscutibile fascino, portatori di intima, palese eleganza. È lecito parlare di forma dimessa, ma esplosiva: somiglia proprio ad Assunta. Che, alla fine, come si attendeva, sceglie di fare la rivoluzione per riappropriarsi di sé e di ciò che le appartiene: nella modalità stupefacente esposta dalla narratrice il lettore coglie l’extrema ratio di chi è pronto a ricominciare da capo. Non importa se si tratta della realtà o di un sogno.
Con grande arguzia, l’autrice cita Antonio Gramsci e afferma che la sua Assunta possiede il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà.
Maddalena Francavilla, “Assunta del Mercato”: un racconto neoverista e rivoluzionario
in “Effe, Periodico di Altre Narratività”, n. 3, 2015
di Simona Cascetti -PrimaPaginaWeb.it – Marzo 2016