Ma insomma, questo lavoro c’è o non c’è? La domanda non è buttata lì. Ricordate il giovane che alla ministro Fornero (lei in piedi, lui comodamente stravaccato) dichiarava: “Lavorare di notte? Per carità, ho altro da fare”, sicuro come molti suoi coetanei che le ore “nere” devono essere dedicate soltanto alla movida? Ebbene si scopre che quel ventenne con la biro in mano (chissà a cosa gli serviva) ha dietro, accanto e avanti a sé una fitta schiera di replicanti, convinti che tutto è loro dovuto. Con pochi sacrifici, un lavoro facile, a pochi metri da casa. E esclusivamente di giorno, naturalmente. Ma la giovane età non può accollarsi interamente le colpe di una puerizia fissata al chiodo dell’incoscienza. Questi adolescenti-prolungati hanno sulle spalle le mani carezzevoli di genitori incapaci di dire “no”, di negare paghette (si da per dire) sul genere vitalizio ministeriale, di illudere colpevolmente la prole che la vita è facile, percorsa nei corridoi delle università. Un attento lettore mi ha posto, qualche giorno fa, una domanda: “Meglio tanti laureati a spasso, o pochi ma ben inseriti e soprattutto preparati?”. La risposta è talmente ovvia che fa gridare allo scandalo proprio per questo. Chi? I soliti che da troppi anni rubano impuniti il futuro delle ultime generazioni, dopo aver costruito una realtà virtuale fatta di menzogne, e nella quale i giovani sguazzano, certi di essere nel giusto. La nostra Mira Carpineta ha sentito l’assessore provinciale al Lavoro, Eva Guardiani, che ha confermato (non ne avevamo dubbi) i timori dei più realisti: il lavoro c’è, ma il più delle volte richiede sacrificio e rinunce. Di conseguenza, rifiutato. Perché darsi da fare, dopo il diploma, se è molto più comodo (e riposante) iscriversi all’università? E’orgoglio di mamma e papà dichiarare di avere un figlio “studente” piuttosto che “disoccupato”. Alla laurea prima, o molto poi, ci si arriverà. Allora, con il titolo di “dottore”, potrà mai il “tesoruccio di mamma” fare, che so, la guardia notturna?