Fabio Di Stefano è un giovane pianista teramano molto promettente. Teramo si conferma così una piccola culla di giovani talenti, sebbene spesso non trovino spazio negli eventi della nostra cittadina. Ormai cominciano a essere maturi i tempi per una stagione concertistica giovanile teramana più lunga e articolata. Il bel tentativo della Riccitelli da poco concluso è stato lodevole. Però è ancora embrionale e, se non incoraggiato da nuova linfa e nuove aperture, resterà limitante, cosa che di certo nessuno vuole, specie i musicisti. Fabio, gli inizi sono sempre casuali per ogni musicista. Si comincia anche per gioco. Come è entrata la musica nella tua vita?
La musica a casa mia è sempre stata presente dato che in famiglia tutti sanno suonare uno strumento o cantare. Già da piccolissimo ero molto affascinato dal pianoforte e a sei anni ho cominciato a studiarlo sotto la guida della mia prima insegnante, Alessandra, con cui ho instaurato da subito un rapporto molto speciale. Dopo aver sostenuto l’esame di compimento inferiore, per vari motivi, insieme a lei ho deciso di iscrivermi in conservatorio a Teramo. A volte il Conservatorio non è un luogo molto accogliente. Cambiano i rapporti con gli insegnanti, con i colleghi di corso etc. Tutto diventa più serio e si perde l’aspetto ludico che contraddistingue invece i primi anni di studio. Come è stato per te? Devo dire buono. Ho conosciuto il M° Alessandro Cappella ed entrando nella sua classe ho avuto modo di scoprire una nuova realtà che fino a quel momento ignoravo. Scoprivo la possibilità di conoscere tanta persone che suonavano come me il pianoforte (o un altro strumento). Era molto stimolante poter condividere questa passione con loro e mi sono arricchito molto con questi rapporti artistici e umani. A un certo punto, dopo le scuole superiori, hai dovuto scegliere tra l’università e la carriera nella musica. Cosa hai scelto? Ho cercato di conciliare questi due aspetti. Arrivato al IX anno di pianoforte mi sono iscritto alla facoltà di Ingegneria all’università “La Sapienza” di Roma. E’ stato un periodo difficile, perché il tempo a disposizione si è ridotto molto. Così non ho potuto affrontare gli ultimi due anni di pianoforte con la serenità e la concentrazione necessarie. Ora, forse, me ne pento un po’. Nonostante tutto ho sempre dato il massimo che potevo, riuscendo ad ottenere alla fine i risultati desiderati. O quasi. Durante gli studi, spesso in modo quasi improvviso, comincia a manifestarsi il talento e maturano delle aspettative che spingono al confronto con gli altri, più e meno bravi… Da questo confronto, cosa hai imparato? Penso di essere una persona molto modesta in questo. Conoscendo altri musicisti mi sono sempre messo in un clima di sana competizione; non, quindi, una gara per decretare chi fosse il migliore, bensì un modo per essere spinti a fare sempre meglio, a dare di più, senza mai accontentarsi. Tuttavia il confronto ridimensiona anche quelle aspettative. Non tutti, per intenderci, sono nati per essere concertisti, ma – questo è l’importante– ognuno può ricoprire un posto di rilievo nella musica. Qual è il tuo? E’ una domanda molto interessante, soprattutto perché non ho ancora trovato una risposta definitiva. Ricordo che mi divido tra ingegneria e musica: non è un ripiego, ma anche una vera passione. Mi trovo spesso diviso, ma in risposta provo a dare il massimo in entrambi i campi senza precludermi nulla. A volte si rischia di non arrivare a tutto, ma i risultati positivi ripagano gli sforzi fatti. Comunque, devo riconoscere che la musica mi dà soddisfazioni uniche e inarrivabili. Secondo te si può ancora dire qualcosa di nuovo nell’interpretare il repertorio classico o c’è bisogno di cercare altrove stimoli più interessanti? Musica contemporanea, sperimentale, ambient music etc. Per quanto riguarda questi generi devo ammettere di non saperne abbastanza. Invece per ciò che mi riguarda più da vicino credo che il repertorio classico non abbia fine. Ogni singolo brano cresce dentro un musicista parallelamente alla sua maturazione musicale.
Un brano studiato a vent’anni sarà suonato diversamente a quaranta e ancora a sessanta, trasmettendo sensazioni ed emozioni sempre nuove. Credo che non si possa mai dire di essere
arrivati alla fine. Come è secondo te la situazione musicale a Teramo e in Abruzzo? E’ realmente fruita oppure no? Credo che a Teramo, grazie alla stagione concertistica e ad altri eventi organizzati, ci sia la possibilità di assistere a spettacoli di buon livello, ma i giovani sono ancora poco coinvolti.
L’età media ai concerti di musica classica è molto alta, troppo alta, ma ho riscontrato questo problema anche in una grande città come Roma. Peccato. In fondo la musica è sempre un punto di riferimento importante e davvero, come diceva Nietzsche, “Senza musica la vita sarebbe un errore”. Al giorno d’oggi bisognerebbe prendere come esempio l’esperienza del Venezuela e della Simon Bolivar Orchestra, dove molti ragazzi grazie alla musica sono riusciti a risollevarsi da una situazione di miseria. Questo dimostra come un’arte, pur così interiore e astratta, possa dare risultati decisivi nella vita di ognuno di noi.