Teramo è la città dei Pretuzi, probabilmente è più antica di Roma, e il suo popolo ha dato il nome all’intero Abruzzo.
Nella sala consiliare del Municipio viene conservata la “Lapide delle male lingue” nella quale è inciso il motto “A lo parlare agi mesura” (cioè: “Misura le parole”), che resta un monito vivo fra i teramani, specie per le origini storiche simboleggiate dalla lapide medesima e riferite lotta medievale fra le fazioni rivali dei Melatino e dei Valle, alla quale pose fine il potente Giosia Acquaviva che pacificò la città facendo impiccare i capi dei Melatino (rei di avere rivolto parole minacciose all’indirizzo di Giosia.
Gli sconfitti furono spregiativamente soprannominati (“Spennati”).
Ma a Teramo ci sono altri due moniti incisi nella pietra, non altrettanto famosi eppure altrettanto importanti.
Il primo è nella lapide del 1510 murata nella facciata di Casa Catenacci, in Via Vittorio Veneto, la quale reca l’epigrafe “Non bene pro toto libertas venditur auro”, ossia: “La libertà non si vende nemmeno per tutto l’oro del mondo”.
Il secondo è nella frase scolpita nell’architrave della finestra laterale del Palazzo medievale dei Melatino, frase tratta da quella miniera d’oro che sono le Epistole a Lucilio di Seneca: “Sapienti nihil est necesse” (Ep. 9, 14), cioè: “Nulla è indispensabile al saggio”.
Il saggio può aver bisogno di tutti e di tutto, ma necessita di nessuno e di nulla, ed è chiaro che l’assenza di bisogni renda liberi sopra ogni altra cosa, per cui è compito e dovere della parte più avanzata della città farsi promotrice di una nuova stagione, è compito e dovere di coloro che più hanno a cuore le sorti della nostra terra, è compito e dovere di coloro che non annaspano nei bisogni e nelle difficoltà quotidiane, è compito di coloro che devono assumersi la responsabilità della domanda che John Fitzgerald Kennedy fece agli americani e al mondo durante il discorso inaugurale del proprio mandato (il 20 gennaio 1961): “Non chiedete cosa possa fare il Paese per voi: chiedete cosa potete fare voi per il Paese”.
Mi rivolgo a chiunque senta di potere e dover essere attore della rinascenza teramana, a chiunque senta di potere e dover essere destinatario della domanda kennediana: è l’ora a Teramo di seppellire l’ascia di guerra, perché ogni guerra deve avere una fine.
Non è superfluo sottolinearlo, specie da parte di chi – come me – ama il Futurismo, nel cui manifesto del 1909 è chiarissimo il grido: “Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo”, e laddove sta pure scritto: “Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro”.
E se è pur vero che dalla dialettica, anche quella più accesa, nascono le idee e il futuro, si deve constatare che Teramo da almeno dieci anni è ingabbiata in una perniciosa spirale dove tutti sono divenuti nemici di tutti, dove i giornalisti odiano i colleghi, i politici non si risparmiano colpi bassi (specie fra i sodali del medesimo schieramento), i cittadini sono esasperati dalla morsa economica e dai servizi sempre meno palpabili di un apparato sociale al collasso.
È vero che abbiamo i governanti che ci meritiamo, ma dobbiamo smetterla di piangerci addosso e dare avvio ad una fase nella quale mettere a sistema tutte le intelligenze e le risorse che questa città continua a mantenere.
Per questo, constatato che il Palazzo dei Melatino (oggi sede della Fondazione Tercas, la quale come apprendiamo dalle cronache si accinge a cambiare nome, e mi permetto di suggerire “Fondazione Teramo”) è l’unico luogo pubblico rimasto fra i tre sopra citati (perché la casa medievale di corso porta romana dove era murata la lapide delle male lingue è andata distrutta e la casa Catenacci è proprietà privata), propongo – in quel luogo simbolo della nostra storia – l’avvio di una discussione pubblica sui destini e sulle vocazioni di Teramo.
D’altronde la Fondazione Tercas, i cui vertici sono stati appena rinnovati, è una Istituzione che statutariamente persegue in modo esclusivo scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, culturale e sociale nella provincia di Teramo; per cui la sua sede è certamente un luogo di elezione per l’elaborazione di una sorta di “Codice Melatino” che indichi (come il troppo spesso dimenticato “Codice di Camaldoli”) le linee programmatiche e di intervento che facciano da guida ad una visione prospettica della città di Teramo.
La citata frase di Seneca incisa nella facciata del Palazzo dei Melatino, “A chi possiede la sapienza null’altro è necessario”, indica un respiro rinascimentale e documenta l’assimilazione di un umanesimo che dalle secche del medioevo avrebbe schiuso le vie della modernità.
Siamo oggi chiamati a riannodare quei fili, per evitare polemiche sterili, per scongiurare l’avvelenamento dei pozzi, per non morire fra le spaventose visioni ombelicali dei social network, vere e proprie sentine di ogni vizio, dove ciascuno sfoga il peggio di sé e contribuisce alla disgregazione del tessuto sociale.
In qualità di insegnante, prima ancora che in qualità di consigliere comunale, sento l’esigenza di rievocare il meglio della nostra storia per riscoprirlo, riconoscerlo e farne pietra angolare di una fase nuova.
La “Rinascenza Teramana” dal 1770 in poi si affermò e divenne una efficace stagione di rinnovamento che alimentò la fine del secolo e il successivo periodo borbonico, un movimento culturale e riformista, coevo all’illuminismo, volto alla cancellazione di ogni retaggio feudale che costituisse ostacolo alla crescita politica, economica e culturale della società.
Da lì dobbiamo ripartire, ciascuno con le proprie capacità e sensibilità, senza indulgere nelle ataviche ipocrisie e conservando il valore non commerciabile della libertà (come scolpito sulla facciata di Casa Catenacci e dimenticato da troppi concittadini).
Le Istituzioni e i teramani sono chiamati a questa sfida, perché è proprio a cominciare dalla Casa del Melatino che si è avviata la ricostruzione e il ripopolamento di Teramo quando la città fu saccheggiata e bruciata dal conte Roberto di Loretello tra il 1155 e il 1156.
Ed oggi che le forze disgregatrici sono soverchianti rispetto a quelle aggregatrici, oggi che si vedono troppi Roberto di Loretello e scarse capacità all’opera, oggi che volano molti stracci e poche idee, con tanti teramani che dolorosamente emigrano nonostante si consumi qui la scommessa per un fulgido domani, dobbiamo chiamare a raccolta uomini e mezzi, idee e risorse, per mandare al macero una guerra civile sotterranea, per tornare ad avere fiducia in chi ci amministra, per dissipare le nebbie delle idiosincrasie e delle incomunicabilità, per arginare lo spargimento di altro inutile veleno, per evitare che vi siano nuovi “Spennati”, per recuperare la tensione morale, per riassaporare l’ambizione del futuro (senza preposizioni aggiuntive), per tornare ad intessere un discorso pubblico, ad argomentare le proprie ragioni e finalmente a risorgere.
Maria Cristina MARRONI – Consigliere comunale di Teramo 3.0