Nei giorni scorsi, presso la sede del Circolo teramano, è stato presentato il libro “L’Italia della Uno bianca – Una storia politica e di mafia ancora tutta da raccontare”, edito da Chiarelettere. L’autore, Giovanni Spinosa, attualmente riveste l’incarico di Presidente del Tribunale di Teramo. In magistratura dal 1981, ha diretto indagini difficili e delicate, come quelle sui sequestri di persona ad opera dell’Anonima sarda, avvenuti in Emilia Romagna nella seconda metà degli anni Ottanta. Nelle stesse vesti, e in stretta collaborazione con lo storico Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, ha svolto le prime indagini sulle associazioni mafi ose legate ai corleonesi insediatesi a Bologna ed in Romagna a partire dal 1984
(in particolare su Salvatore Rizzuto, mafi oso legato a Pippo Calò). Si è inoltre occupato di diverse inchieste sulla ‘ndrangheta, sulle bische – che hanno coinvolto Giacomo Riina (zio del più noto Totò) – e di quella sulla revoca della scorta a Marco Biagi, assassinato nel 2002 dalle Brigate rosse. È stato titolare, inoltre, dell’indagine sui crimini della Uno bianca, consumati in Emilia Romagna tra il 1987 e il 1994. Il suo libro racconta questa storia criminale, che ha sconvolto l’Italia della fine della Prima Repubblica. Dietro, un’enorme beffa: i criminali disposti a tutto, che usavano sempre Fiat Uno bianche rubate per le loro vili incursioni, erano agenti di polizia. Poliziotti-banditi spietati, freddi, meticolosi nella preparazione dei colpi, esperti con le armi e abili nelle fughe, riuscivano a compiere le loro rapine senza mai lasciare una traccia, un’impronta, mai un testimone in grado di riconoscerli. Roberto Savi, soprannominato “il corto”, arrestato il 21 novembre 1994, cui fu attribuita un’intelligenza “luciferina”, era un poliziotto in servizio presso la questura di
Bologna, e allo stesso tempo il capo della banda, spalleggiato dal fratello, Fabio Savi, “il lungo”, capace di ridere di fronte ai parenti delle vittime in un’aula di tribunale. Poi il terzo fratello, Alberto, agente di polizia presso il commissariato di Rimini, ritenuto il più debole dei tre, meno risoluto e
succube dei primi due. Alla banda dei Savi si aggiunsero nel tempo altri tre agenti di polizia della questura di Bologna, in momenti diversi, tutti agli ordini di Roberto Savi quando era capo pattuglia alle volanti: Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli. Nel gruppo non poteva certamente mancare la femme fatale, Eva Mikula, donna appariscente di cui si innamorò Fabio Savi. Dopo gli arresti sarà proprio lei, con la sua testimonianza, ad inchiodare tutti i membri della banda, tradendo Fabio e garantendosi l’impunità. Secondo le dichiarazioni di Fabio Savi, fu soltanto la brama di denaro a spingere tutti a tradire lo Stato e le istituzioni cui avevano giurato di essere fedeli, e a giustificare una serie sterminata di atti di inaudita ferocia e crudeltà – 82 delitti, 23 morti e centinaia di feriti -, ma il magistrato che ha a lungo indagato su questi atroci avvenimenti si interroga ancora sulle loro reali cause e sulle complicate trame che i processi non sono riusciti a spiegare. Il testo rivela scenari ignoti, approfondisce e cerca di collegare i tanti elementi ancora irrisolti di questa odiosa storia. Spinosa documenta voragini investigative, bugie, depistaggi orchestrati dai fratelli Savi, i cui rapporti con la criminalità organizzata, con la mafi a catanese e con la camorra cutoliana e casalese non sono mai stati compiutamente esplorati. Il magistrato, raccontando alcuni dei tanti momenti tragici di quella “strage a rate” di cittadini inermi, ha scandito sempre con veemenza e trasporto i nomi delle vittime,
al dichiarato fi ne di sottolineare che dietro ciascuno di loro c’erano una storia personale e una vita vera, recisa senza alcun motivo. L’autore tiene però soprattutto a ricordare la vittima principale dell’intera vicenda: la conoscenza, vero cardine su cui si regge la democrazia.