Marco Cassini, giovane attore dal multiforme talento, diviso tra piccolo e grande schermo, si racconta per la prima volta alla città. Ha passato un lungo periodo a Torino per girare una nuova fiction con Luciana Littizzetto. Di passaggio a Teramo per qualche giorno, ecco l’occasione di poter scambiare qualche battuta su quanto sta vivendo al livello professionale e artistico. Come te la stai cavando nel mondo dello spettacolo? Viene spesso
rappresentato come un mondo spietato. “È vero. Ma prima o poi, se non demordi, nel business ci entri. Il problema è che spesso la raccomandazione ti scavalca, arriva dove non credevi potesse arrivare. Sono stato otto mesi a Torino a girare la fiction Fuoriclasse con Luciana Littizzetto e Neri Marcorè: è tutto accaduto così, in modo naturale e non essendo un raccomandato la cosa mi riempie di gioia. Io conto, per forza di cose, solo su quello che ho studiato e che so.” Ecco, all’improvviso ti ritrovi a dare la battuta a un’attrice come la Littizzetto. Come hai affrontato questo salto di livello? “Naturalmente bisogna studiare ancora di più. Luciana è di un talento straordinario, come Neri, che è un folle. Per poter ‘reggere’ mi sono chiuso ore ed ore nella camera d’albergo a provare accenti, pronunce, pose, gesti, etc., poi ti butti e cerchi di concentrarci sul momento in cui metti a frutto il lavoro fatto. Come sempre, insomma, ma in modo più profondo.” Cristian De Mattheis, regista con cui tra l’altro hai lavorato, in una recente intervista ha detto di sentirsi a disagio con quegli attori italiani che sono in scena come nella vita reale, senza modificarsi e interpretando poco. Faceva invece l’esempio positivo degli americani che interpretano molto… tu che ne pensi? “Sono d’accordo: l’interpretazione è importantissima, spesso ce ne dimentichiamo e i personaggi diventano poco definiti. La giusta dimensione è comunque sul proprio vissuto: poi l’originalità.” Qual è stato uno dei momenti più significativi del tuo studiare? “L’Actor Studios. Ho dovuto interpretare un giovane Ayrton Senna, da ragazzino, quando guidava i kart. In una gara importante venne sconfitto: ho dovuto interpretare questo fallimento. Mi sono spogliato e poi cosparso di borotalco – immaginavo il borotalco come un simbolo dell’infanzia – e poi ogni movimento, ogni convulsione era come dirsi di non essere mai cresciuti. È stato un vortice di emozioni, culminato con un pianto bellissimo e puro.” Hai lavorato anche con Terence Hill in Don Matteo. Come è fuori e dentro la scena? Gli hai mai chiesto qualcosa dei suoi spaghetti-western? “Terence è un attore straordinario: a volte io mi spremevo tanto per riuscire a dare qualcosa in scena. A lui bastava un semplice sguardo. Ha un’espressività estremamente intensa. Dei suoi western abbiamo certamente parlato: me ne ha raccontato spesso e farebbe di tutto per farne ancora un altro… solo che l’età è l’età.”