La crisi della coppia può comportare la separazione dei coniugi che, nel nostro ordinamento, è regolata da un processo giudiziario al termine del quale il giudice autorizza i coniugi a vivere separati “salvo l’obbligo del reciproco rispetto”: è questa la frase che viene solitamente inserita nelle condizioni di separazione ma, purtroppo, sempre più spesso resta una frase di stile, completamente distante rispetto alla reale situazione dei coniugi. La decisione di separarsi dovrebbe essere presa -di norma- nella speranza di raggiungere una qualità di vita migliore per se stessi e per i figli, poiché, a causadella intolleranza della convivenza tra i tra i coniugi, tale qualità è divenuta pessima, spesso insopportabile. La separazione è quindi la migliore soluzione possibile, anche considerando che con essa i coniugi restano tali, vale a dire restano marito e moglie,in quanto il vincolo coniugale non viene meno (solo con il c.d. divorzio il marito tornerà celibe e la moglie tornerà nubile, e potranno, eventualmente, contrarre un altro matrimonio). La separazione, quando non vissuta come uno stato eventualmente momentaneo e non definitivo, probabilmente anche per la mancanza di un supporto di natura psicologica ai coniugi, non solo produce ulteriori tensioni e risentimenti, ma spesso produce anche una serie di successivi procedimenti giudiziari, proprio iniziati dal soggetto che non accetta la separazione, e la vive come un fallimento personale o un “affronto”. In termini giuridici il soggetto che inizia un processo con l’unico scopo di coinvolgere l’altra parte “portandola in Tribunale”, con tutto quello che comporta (costi dell’Avvocato, necessità di partecipare alle udienze, di convocare i testimoni, di reperite i documenti…) non utilizza lo strumento processuale per i suoi fini tipici (tutela dei diritti), ma fa un “abuso del processo”; in altri termini il processo viene strumentalmente utilizzato (abusato) per creare disagi all’altro coniuge, il quale, suo malgrado, dovrà partecipare alle udienze, che comportano (oltre ai costi economici) anche un notevole stress di carattere psicologico, in quanto il processo giudiziario comunque farà riemergere rancori, incomprensioni, situazioni dolorose, vale a dire tutto quel “contesto” che ha dato origine alla separazione e che, eventualmente, doveva essere rimosso o mitigato con la separazione stessa. A tale situazione di abuso del processo la Legge 69/2009 cerca di porre un rimedio, dando la possibilità al giudice, anche d’ufficio (vale a dire senza richiesta di una parte) di condannare la parte soccombente,oltre al rimborso delle spese legali a favore della parte vittoriosa, anche al pagamento, a titolo di risarcimento danni, di una somma equitativamente determinata (terzo comma art. 96 cpc). Tale rimedio non ha una natura solo risarcitoria ma anche -e soprattuttosanzionatoria;nel nostro ordinamento, per la prima volta, si introduce il concetto di “danno punitivo”, allo scopo di scoraggiare l’abuso del processo, introducendo, quindi, una vera e propria “una sanzione d’ufficio” (ved. Tribunale Pordenone, 18.3.2011). Il giudice, al termine del processo, deve, in primo luogo, stabilire che vi è stata soccombenza, cioè che l’azione proposta era infondata; a tale soccombenza seguirà la condanna alle spese di giudizio e, in aggiunta, seguirà anche la condanna per responsabilità processuale ex art. 96 cpc; colui che ha abusato del processo dovrà non solo rifondere all’altra parte le spese legali, ma dovrà pagare anche una somma di denaro determinata dal Giudice a titolo di risarcimento danni. Una sentenza rilevante proprio in materia di liti giudiziarie tra coniugi è quella pronunciata dal Tribunale di Varese il 21.1.2011, con la quale una parte è stata condannata al risarcimento di euro 10.000,00 a favore dell’altra, oltre al pagamento delle spese processuali; tale condanna è derivata non solo dalla soccombenza in tale giudizio, ma anche a fronte delle instaurazione di treprocedimenti giudiziari -oltre a quello di separazione- in poco meno di due anni, indice -a parere del giudicante- di come i coniugi avessero trasferito “…nel contesto giudiziario il loro terreno di scontro…”. La sentenza indicata chiarisce come . E’ certo che le liti temerarie contribuiscono ad un danno all’intera collettività, poiché il carico del lavoro giudiziario rallenta inevitabilmente la trattazione di tutti i procedimenti con riflessi negativi di impatto elevatissimo (si pensi ai costi ingenti che lo Stato versa per i ritardi ex lege 89/2001); la ratio della nuova disposizione di cui all’art. 96, 3° comma cpc può essere individuata proprio nello scoraggiare comportamenti strumentali alla funzionalità del servizio giustizia e in genere al rispetto della legalità (così Tribunale di Milano, ordinanza 20 agosto 2009). Per completezza appare doveroso osservare come il risarcimento per lite temeraria sia stato assegnato anche in altri ambiti; in tema di risarcimento di sinistri stradali, ad esempio, una compagnia è stata condannata anche al risarcimento danni per lite temeraria per essersi sempre rifiutata di risarcire in sede stragiudiziale i danni fisici al danneggiando, obbligando quest’ultimo per forza di cose ad agire in sede giudiziaria (Tribunale Torre Annunziata 14/03/2000).