MOLESTIE IN CHAT

molestie in chatLa testimonianza di una universitaria teramana. No,  non è un semplice episodio di cronaca passato qualche tempo fa su tutti i tg nazionali. E’ un piccolo attentato all’integrità di una giovane donna di Teramo che è accaduto qualche mese fa, tenuto segreto per la paura di illogiche ripercussioni. Sara S., 23enne studentessa, racconta di uno strano

approccio avuto in chat da un ragazzo originario della stessa città dove studia. Alle semplici conversazioni di circostanza che si snocciolano inizialmente come innocente approccio dei primi giorni a domande più intime, per un’ambigua conoscenza virtuale che si crea nel corso del tempo. “Non abitiamo molto lontani l’uno dall’altro”,  le scrive un giorno la voce silenziosa dal nickname “Buffalo 66”, “potremmo incontrarci, se tu mi dimostrassi particolare affetto…”. Una richiesta provocatoria, velatamente preoccupante. Sara non se la sente di rispondere per non dare adito a fraintendimenti del caso e replica semplicemente  con un “preferisco di no”. Alla sua inaspettata richiesta di avere la possibilità di vedersi in webcam per poterla ammirare, magari in situazioni più intime, Sara si irrigidisce e capisce che il gioco può diventare pericoloso. Un semplice gesto del mouse e l’ignoto molestatore è cancellato con un click, apparentemente per sempre. Da allora i giorni si susseguono per un po’ tranquilli e dell’accaduto sembrerebbe non rimanere che un triste ricordo. Il rientro a casa dopo un esame andato bene è uno stimolo per condividere la propria soddisfazione con gli amici lontani. All’apertura delle mail, da una fredda casella di posta legge un messaggio che la atterrisce: “Ti ho vista qualche giorno fa mentre facevi la spesa… Che bei capelli mossi che hai, pronti da afferrare… Il tuo Buffalo 66 che ti ammira ogni giorno da vicino, più di quanto pensi”. Panico. L’incapacità di chiedere aiuto subentra ben presto alla voglia di raccontare tutto e ci si rifugia dentro un inspiegabile silenzio. Sara continua a studiare, uscire, fare tutto ciò che le occorre, ma con un pensiero fisso: quello di essere spiata, magari seguita. Da quella sconvolgente dichiarazione sono passati quattro mesi e del molestatore non v’è stata più alcuna traccia. Al suo rientro, un’inadeguata solitudine l’ha investita improvvisamente, lasciandole un senso di impotenza e, per più di un attimo, si è sentita nuovamente potenziale vittima. Un leggero timore di aprire la chat la accompagna. Buffalo 66 è divenuto monito, ciò che il pericolo dell’amicizia virtuale può celare inquieta. Una minaccia sottile di ciò che c’è,  ma non si vede.