La lombalgia rappresenta una patologia molto diffusa nei paesi industrializzati, ed è una delle cause più frequenti di assenza dal lavoro colpendo circa l’80% della popolazione. Lombalgia è un termine piuttosto generico. Indica il dolore localizzato nella zona lombare e può dipendere da numerosi fattori difficili da individuare con precisione anche tramite le indagini strumentali.
Per questo motivo è necessario affrontare il problema affidandosi a un professionista che riesca a capire le cause specifiche alla base del dolore, per sviluppare una terapia mirata (diversa per ciascun individuo), allo scopo di migliorare la condizione di malessere e in alcuni casi di risolverla definitivamente. La prima cosa da fare è sicuramente effettuare un’accurata valutazione professionale per riuscire a distinguere i meccanismi del dolore e per capire i fattori di rischio che hanno causato la patologia. Il dolore lombalgico solitamente tende a limitarsi nell’arco di circa due mesi, ma allo stesso tempo a recidivare nel 90% dei casi. Perciò la terapia deve mirare al contenimento della fase acuta e soprattutto a prevenire le ricadute nel limite del possibile. L’obiettivo terapeutico, cioè lo scopo finale che il fisioterapista si prefigge per migliorare le condizioni del paziente, deve prevede il ritorno alle normali attività quotidiane che spesso il paziente tende a ridurre, aumentando invece il riposo fino a perdere l’abitudine a svolgerle, e ad entrare in una concezione di “malato” da cui è difficile uscire. Per questi motivi, dopo aver effettuato un trattamento mirato alla riduzione del dolore e al riapprendimento dei corretti movimenti della colonna lombo-sacrale, il compito del fisioterapista sarà quello di ridare al paziente la giusta consapevolezza del proprio corpo che può tornare, con i dovuti accorgimenti, ad affrontare le azioni che caratterizzavano la vita di tutti i giorni prima dell’insorgenza della patologia, anche indicando i principali fattori di rischio: fattori costituzionali che includono: patrimonio genetico; età (maggior rischio dai 25 ai 55 anni); sesso (maggior rischio nel sesso maschile); statura (maggior rischio nelle persone alte); fattori occupazionali che includono: postura seduta protratta (guida prolungata di automezzi); postura eretta protratta (flessione del tronco); carichi in fl essione (soprattutto in soggetti generalmente non in forma); bassa condizione socio-economica; fattori legati allo stile di vita che includono: fumo; sedentarietà; attività in flessione; sport che sottopongono la colonna a traumi ripetuti; fattori psico-sociali che includono: stress psicologico (paura, ansia, depressione, tensione); disturbi connessi al disagio personale o professionale. È necessario intervenire tempestivamente per raggiungere gli obiettivi finora descritti e soprattutto bisogna affidarsi ad un professionista qualificato capace di personalizzare la terapia per ciascun paziente. Non bisogna mai sottovalutare questa patologia poiché un semplice gesto può aiutare a vivere meglio.