Le imprese artigiane, o piccole imprese, da sempre hanno rappresentato la risorsa economica primaria del nostro territorio. Oggi, a quattro anni dall’inizio della crisi, si contano a centinaia le piccole imprese che non esistono più. E nelle parole del direttore della CNA di Teramo, tutte le dimensioni di una tragedia: se per ogni impresa artigiana lavorano mediamente 2,5 persone , ad oggi sono più di 1000, e solo nella nostra provincia, quelle che hanno perso il lavoro. Come se a “chiudere i battenti” fosse stata la più grande azienda del territorio. Ma non basta contare “i caduti”, i debiti, i fallimenti e i contenziosi. E’ necessario recuperare e incrementare ciò che rappresenta il “plus” valore dell’artigianato. Come le piccole imprese possono affrontare e intervenire, da protagoniste, nella ripresa dell’economia e perché no, magari guidarne la crescita. Da qualche tempo, giganteggiano sulle nostre strade manifesti che indicano l’Abruzzo come prima regione italiana per utilizzo delle risorse economiche europee, con “il 76.9% di Fondi Europei spesi e l’88,7% dei progetti avviati”. Siamo andati così a consultare, sul sito della Regione, la graduatoria di riferimento, in cui sono indicati i progetti, le imprese e i fondi ammessi ed è emerso che circa il 70% di quei fondi sono andati a pochissime aziende (come DARCO SERVIZI SOC.COOP, sede ROMA, 110 assunzioni, valore fi nanziamento €864.500,00 – SOC. PRODOTTI ITALIANI SRL, sede ROMA, 75 assunzioni, val. fi n. € 1000.000,00 – ECOSERVIZI GROUP SRL, sede leg. ROMA, 90 assunzioni, val. fi n. €1.200.000,00 – XPRESS SRL, sede leg. CALABRIA, 60 assunzioni, val. fi n. €880.000,00 ecc.) e basta andare sui loro siti per scoprire che le loro sedi sono anche fuori dall’Abruzzo. Con la conseguenza di lasciar fuori soprattutto la moltitudine di imprese artigiane locali. Ma in un momento come questo, in cui la scarsità di liquidità ha paralizzato l’economia reale, non sarebbe stato più utile distribuire i fondi in modo da permettere ad un maggior numero di persone di ricominciare a “far girare l’economia”? E come si spiega la “sordità” degli istituti bancari, nella fattispecie locali, alle ripetute richieste, ormai gridate da tutte le categorie imprenditoriali (e avallate perfino dal capo della BCE, Draghi) sulla necessità di re-immettere liquidità sul mercato o almeno riaprire al credito? Perché alle banche non bastano nè i decreti governativi che sbloccano i pagamenti della PA e neanche più le garanzie delle Confidi? Insomma, se c’è da contare, e redigere bilanci e rapporti, come si può continuare a ignorare le capacità e le potenzialità di sviluppo che il mondo dell’artigianato rappresenta?