Non ci sono né vincitori né vinti nella vicenda dell’allontanamento del piccolo Leonardo dalla mamma. C’è solo un bambino che ha sofferto e che probabilmente continuerà a soffrire. E tutta questa sofferenza non solo perché ha vissuto un allontanamento da scuola così cruento e inappropriato,
ma soprattutto perché figlio, da sempre, di genitori che non hanno saputo tutelarlo e proteggerlo e sono arrivati a un tale livello di confl ittualità che ha portato gli eventi a questo punto. L’esecuzione di un decreto del Tribunale che prevede di prelevare un minore e collocarlo in una comunità è sempre un evento molto difficile da gestire e sempre traumatico per il minore coinvolto. Di solito sono gli assistenti sociali a coordinare questi delicati momenti, preparando prima il terreno sia con il bambino che con la sua famiglia. Ma a volte non c’è possibilità di preparare, i genitori non sono collaborativi e allora neanche i bambini lo possono essere. Che fare in queste occasioni? Può uno dei due genitori essere superiore alla legge e non permettere l’esecuzione di un decreto emesso dal Tribunale per i Minori? Questo è inammissibile. Nel caso del piccolo Leonardo ci sono stati già dei precedenti tentativi di eseguire il decreto, ma non è stato possibile. Cosa fare allora? I modi certo sono stati più che inadeguati, questo è sotto gli occhi di tutti. Ma per onestà e chiarezza alcune domande bisogna porsele. Come mai i parenti materni del bambino erano fuori dalla scuola? Forse già sapevano del decreto e aspettavano il momento di far scoppiare un caso? Come mai la zia si preoccupava di riprendere la scena invece di calmare il nipote che era disperato e collaborare con le forze dell’ordine? Perché il video è stato diffuso e non utilizzato solo nelle sedi opportune, in modo da proteggere il bambino e tutta la vicenda dai riflettori? Come mai il papà ha permesso che il figlio subisse tutto questo e non lo ha protetto, rinunciando ancora una volta all’esecuzione del decreto, e trovando tempi e modi migliori perché venisse fatto? Perché il bambino non è stato aiutato dalla mamma e dai suoi parenti ad accettare la presenza del papà e le sue visite (visto che si dice che era il bambino stesso a non voler andare con lui, ma questo può succedere di frequente nelle separazioni dove il minore, confuso, può schierarsi da una parte ed essere arrabbiato con l’altro genitore)? Dove sta qui la tutela del minore da parte dei parenti tutti? Tutto ciò fa pensare, come si diceva, a un clima già molto carico e confl ittuale. Chi soffre è Leonardo, chiaramente costretto a subire il fatto di essere figlio di genitori separati, che hanno perso di vista il loro ruolo più importante, di genitori appunto. Quando due persone si separano i figli vivono momenti diffi cili. Solo se il bambino potrà fare l’esperienza di genitori che si allontanano in maniera rispettosa di loro e di lui, l’evento stesso potrà essere affrontato, elaborato e superato nel migliore dei modi, come si fa con altri eventi difficili della vita. In una separazione o in un divorzio che possano definirsi “costruttivi” si dovrebbe tendere a trovare un’organizzazione e una sistemazione dei problemi personali e di coppia tale da permettere soprattutto di mantenere una soddisfacente relazione genitoriale, che non cessa con la frantumazione del nucleo coniugale. Due cose non possono essere cancellate con la separazione quando si hanno dei figli: l’essere genitori e soprattutto (sembrerà banale dirlo, ma è necessario) essere genitori dello stesso bambino da cui discente la necessità di accettare di continuare ad avere un rapporto e un contatto in nome di questo importante ruolo. Spesso invece, come in questo caso, si assiste a lotte tra i genitori, a volte senza esclusione di colpi (e per senza esclusione di colpi si intende negare un diritto di visita, rendere le visite complicate e tormentate, rendere la vita dell’altro coniuge più difficile del necessario, fare inutili richieste di affido esclusivo quando non necessario, rendere il figlio edotto delle vicende che riguardano l’altro genitore, ecc). In questo modo il bambino da figlio di due genitori diventa trofeo e simbolo di vittoria di uno solo che se lo deve aggiudicare cercando almeno di non perdere questa battaglia soprattutto se sente di aver perso quella personale del fallimento della propria coppia. I genitori, invece, dovrebbero chiedersi come sia da un punto di vista psicologico per un bambino crescere nell’assenza di un genitore, o ancora peggio con l’idea di un genitore cattivo. Ma cosa accade nella mente dei genitori tanto da poter arrivare a vere e proprie aberrazioni, come nel caso di Padova, quando si vuole difendere un diritto? Spesso nonostante le motivazioni manifeste e positive, come il volere che il bambino sia al primo posto, o che non venga turbato dalle vicende della separazione, queste motivazioni non sono le sole, e devono coesistere con desideri e impulsi latenti che vanno nella direzione opposta. A volte la rabbia o lo stress sono troppo alti, sono troppi i rancori, si è incapaci di mettersi in secondo piano, non è possibile accettare di andare avanti o ci sono altri motivi personali che portano a lotte senza esclusione di colpi. Solo quando queste motivazioni interne vengono esplicitate e comprese si può vederle con maggiore lucidità e magari evitare di agire sotto il loro impulso. Bisogna allora aiutare queste coppie a re-iniziare a pensare, a sviluppare maggiore capacità di sintonizzarsi sui vissuti emotivi del bambino, a mettersi momentaneamente da parte per fare il bene dei figli. Quando lavoro con coppie di genitori separati. che si danno battaglia, li aiuto a tenere i figli nella mente in ogni momento, e in ogni decisione che prendono. Per farlo, aggiungo tra le loro una sedia vuota, che è “la sedia dei fi gli” non presenti fisicamente, ma che idealmente partecipano all’incontro. Questo aiuta a tenere a mente che ogni parola, ogni decisione e ogni battaglia intrapresa hanno una ricaduta su chi è idealmente seduto su quella sedia.