Ad un anno dalla laurea risulta occupato il 46,5% dei laureati dell’ateneo teramano, dato sostanzialmente in linea con quello medio nazionale (47,8%); anche il tempo medio di ricerca del lavoro (circa 4 mesi e mezzo) non si discosta molto da quello generale (4,1). Oltre la metà degli occupati, inoltre, ha trovato un lavoro stabile (53,1%), dato sensibilmente migliore di quello (34,2%) rilevabile per il complesso del sistema universitario (per la facoltà di Scienze Politiche la percentuale sale al 61,8%). Sette laureati su dieci lavorano nel settore privato, mentre tre nel settore pubblico, con una forbice più ristretta proprio per la facoltà di Scienze Politiche (cinque e quattro rispettivamente), mentre gli studenti delle facoltà scientifiche si collocano soprattutto nel settore privato (otto o nove su dieci, a seconda dei corsi di laurea); rimane ancora marginale la collocazione nel settore no profit (appena il 2,5% contro il 6,2% del dato nazionale). Altro elemento interessante riguarda le possibilità di guadagno, che sono per i laureati teramani (1.116 € netti al mese) superiori a quelle medie (993 € per tutte le università); permangono, tuttavia, forti differenze di genere (861 € per le donne contro i 1.336 € degli uomini). In particolare, sono i laureati delle facoltà di Scienze Politiche (1.261 €) e di Scienze della Comunicazione (1.145 €) a far registrare i livelli retributivi più elevati. Altro elemento importante, riguarda il fatto che circa i due terzi degli intervistati giudicano abbastanza o molto efficace il conseguimento della laurea rispetto alla ricerca del posto di lavoro, a testimonianza del fatto che i giovani percepiscono la formazione come basilare al fine di proporsi in modo adeguato nel mondo del lavoro stesso. I nostri laureati, in sostanza, sembrano mostrare una capacità di penetrazione nel mercato del lavoro almeno in linea con quella riscontrabile, mediamente, per le altre università; non conosciamo, in realtà, l’effettiva collocazione sul territorio (non abbiamo, infatti, l’informazione sui luoghi di lavoro), e, quindi, non sembra semplice comprendere se il teramano sia in grado di assorbire tutta la forza lavoro laureata; tuttavia, ci pare un falso problema, in un’epoca globalizzata come la nostra, nella quale il giovane lavoratore deve essere sempre più disposto a muoversi sul territorio al fine di trovare la più opportuna collocazione sul mercato. Infine, per quanto riguarda il legame tra voto ed inserimento da una nostra indagine di qualche anno fa, risultava che il voto fosse correlato positivamente (come lecito aspettarsi) con la probabilità di trovare un posto di lavoro in tempi adeguati. Ricordo sempre, tuttavia la difficoltà di confrontare i dati del singolo ateneo, con quelli degli altri atenei: la probabilità di trovare un posto di lavoro non dipende solo dalla bravura del laureato e di chi lo ha formato, ma anche dal luogo di ricerca dello stesso (un laureato di Milano, sarà presumibilmente più avvantaggiato di quello catanese).