Il viaggio nel delicatissimo mondo della salute
e della sanità desta sempre forti emozioni. Se da una parte vi sono lagnanze su disservizi e burocrazia, dall’altro capo della barricata infermieri e medici si lamentano dell’enorme mole di lavoro cui sono sottoposti. F. è una sessantenne a cui il dottore ‘di base’ ha prescritto una visita urgente presso un ambulatorio ospedaliero: “Sono arrivata la mattina. Dopo una lunga attesa è stata un’infermiera a valutare se il mio caso fosse meritevole d’immediatezza o meno. Mi ha rimandato a casa. Una settimana dopo –prosegue- sono tornata alle 8.30 come specifi cato; sono entrata in stanza alle 10.45 e nei primi dieci minuti ho guardato in faccia l’infermiera, perché il medico non c’era. Quando ho protestato mi è stato detto che prima si fanno gli appuntamenti e poi le urgenze. Delle due l’una: io avevo l’impegnativa per l’urgenza, ma se sono stata rimandata alla settimana successiva, avevo anch’io l’appuntamento. Dieci persone avevano lo stesso orario”. “Mio padre è ricoverato in un repartodice invece T.-. L’altro giorno, stavo attendendo il medico vicino al ancone e ho visto una scena agghiacciante. E’ suonato il telefono ed una infermiera che stava lì non ha risposto e se n’è andata lamentandosi pure! Io dico: è un ospedale, se qualcuno chiama vuol dire che di certo non lo fa per divertimento. Il bello è che lì davanti c’era pure un’allieva! Che razza di esempio è?”. I. è nipote di un’anziana signora: “Mia nonna soffre di ritenzione idrica e nei giorni passati è stata aggredita da una brutta bronchite. Nonostante l’ossigeno e le pasticche, respirava a fatica. Abbiamo chiamato il 118; il dottore ci ha detto che doveva essere ricoverata. E’ rimasta due giorni al pronto soccorso e le medicine abbiamo dovuto portarle da casa. Ogni volta che chiedevo qualcosa ad un medico o ad un infermiere, passavano sempre correndo, e mi dicevano che non avevano tempo. Poi, quando è stata finalmente portata in reparto, le hanno messo il catetere, la maschera per l’ossigeno e in pochi giorni la situazione è migliorata. Non potevano fare la terapia già al Pronto Soccorso? Non poteva venire un medico del reparto per una consulenza anche se sopra non c’era posto?”. Quello dei posti letto è un altro gravissimo problema degli Ospedali, che si aggrava sempre di più per la solita e cronica carenza di fondi. “Visto che scrivi sul giornale, dillo che la Sanità qui non funziona!”, esclama un paziente in attesa di risposta, “Stasera – aggiunge -sono venuto per fare un controllo, ma ho dovuto aspettare più del solito, perché c’era un medico solo. L’esame che dovevo fare può eseguirlo tranquillamente anche un infermiere, ma per il referto c’è bisogno del dottore. Ce n’era uno solo ed andava avanti e indietro dal Pronto soccorso. Pazienza di Giobbe.” La burocrazia della sanità è un leviatano che spaventa moltissimo i pazienti: “A mio padre, una vita nei campi, hanno dato al Cup un pacco di fogli da riempire. Ho dovuto istruire io la pratica, perché in questo caso manca completamente qualunque tipo di assistenza” dice un altro signore. Attualmente il Cup è gestito da una cooperativa esterna. “Per questioni documentali – prosegue – agli sportelli indirizzano soltanto alla Asl di Circonvallazione Ragusa. L’altro giorno ci sono andato e ho atteso invano un dirigente. Dalla porta aperta dell’uffi cio si vedeva la giacca lasciata lì dentro. Dopo un’ora la segretaria mi ha detto che c’era, ma non era in servizio”. Altro tema scottante sono le ricette mediche, le cosiddette “impegnative”, giuste per il paziente, ma non per la burocrazia. I. si è operato da poco e ha necessità di applicazioni terapiche in ospedale: “Il mio medico di base ha scritto sulla ricetta: come da richiesta dello specialista. Attaccato al foglio ‘rosso’ del dottore di famiglia c’era il foglio ‘bianco’ dello specialista stesso, che indicava il tipo di cure da fare. Per il reparto non andava bene. Hanno dovuto cercare un medico per farmi rifare la ricetta, perché doveva essere indicato tutto sulla ricetta ‘rossa’. Ho chiesto che differenza facesse, tanto io sono messo male lo stesso. L’infermiere mi ha risposto che altrimenti vengono sanzionati loro. Dovrebbero essere ripresi se non curano i malati, non per la burocrazia. Mi pare che stiano diventando sempre più degli impiegati”. R. è malato di diabete, e con l’esenzione ‘013’ deve pagare il ticket par fare i raggi: “In Abruzzo sono più di venti euro; se vado nelle Marche, non solo non mi costa niente, ma lì fanno anche su Cd. Qui non sanno neanche cosa siano. Poi i politici si lamentano della troppa mobilità passiva. Il centro per il piede diabetico, obbligatorio in ogni regione, qui non esiste. Ogni volta devo farmi accompagnare da mio figlio ad Ancona”. I parenti dei pazienti ricoverati lamentano inoltre un’assistenza lenta, dovuta in parte alla carenza di personale. Spesso il cambio di una flebo o l’arrivo di un pappagallo si fanno attendere molto, con conseguente nervosismo dei malati. Anche gli ambulatori per visite e medicazioni siano molto distanti dal reparto. Capita così che lo stesso medico che deve visitare un paziente nel vecchio ospedale sia stato chiamato nel frattempo nel nuovo, o viceversa. I tempi di attesa a quel punto si contano con le lancette piccole dell’orologio: al Pronto Soccorso, invece, si contano quasi con le fasi lunari. “Meno male che questo è un ospedale piccolo” esordisce una signora che tradisce un accento romano. “Mio suocero si è rotto la clavicola in più punti ed è rimasto al pronto soccorso di un grande ospedale romano per tre giorni. Mio marito è originario di un paese del teramano così abbiamo deciso di portarlo qui, non senza noie burocratiche, e fi nalmente l’hanno operato”. Non solo spine.