Cosa vorrei sentir dire da un politico e cosa vorrei vedere fare dalla politica? Oggi e domani vorrei che i politici smettessero di enunciare dal pulpito discorsi tanto belli quanto tristi e vuoti, buoni solo a strappare applausi effimeri ad una platea di militanti. Mi piacerebbe sentire un politico parlare come un soggetto della comunità sociale e anzi come un dipendente della collettività (cosa che di fatti è). Vorrei che la politica tornasse (se mai lo è stata) ad essere una vocazione civile e non mestiere o un’arte circense. Siamo giovani e preoccupati per il futuro, è vero, ma se dovessi scegliere tra “rottamatori” o tradizione supererei queste due categorie e come criterio userei l’intelligenza, l’onestà e la capacità di essere concreti. Partecipare alla vita politica, avere un ruolo attivo è importante, ma se per ruolo attivo si intende entrare nell’universo partitocratico la mia risposta è assolutamente no, amo la libertà intellettuale. Se invece fosse sfida alla “mediocrità collettiva” sarei in prima linea. Per questo i giovani devono prendere in mano il proprio futuro, far sentire la propria voce, urlare il proprio malessere. Detto ciò penso sia estremamente errato credere che a volti nuovi corrispondano nuovi contenuti e nuovi modi. Conosco troppi giovani che fanno politica con vecchie idee ed antichissimi vizi. Personalmente ritengo si debba ripartire dalla cultura e dalla consapevolezza che ad avere importanza non sia l’arrivo ma la strada percorsa. Lo spazio per i giovani in politica sembrerebbe simile al mondo del lavoro in genere, occupato da gente che non va in pensione, ma a mio modo di vedere non è una questione riducibile al semplice ricambio generazionale. Oggi i politicanti litigano per il vecchio, le loro sono discussioni sterili. Un nuovo modo di concepire la politica dovrebbe accomunare giovani e anziani nella lotta per quella che potrebbe essere una rivoluzione civile.