Non credo più nella politica del “dire”, è fumo negli occhi, rappresenta l’arte dei “venditori di sogni”, di cui il nostro paese deve liberarsi. Credo invece nella politica del “fare”, che poi è la vera essenza della politica, quella con la P maiuscola. Vorrei vedere una politica impegnata a darsi nuovo lustro, che torna ad essere un servizio e non un mestiere, sobria e tangibile, pronta a confrontarsi sulle ideee non sulle persone. Un cambio di mentalità, tanto utile quanto, forse, utopistico. Se dovessi scegliere tra i “rottamatori” o la tradizione, oserei dire meglio i “rottamatori” sempre e comunque, ma commetterei l’errore di generalizzare per entrambe le parti. Non tutta la politica “tradizionale” è da buttare, impossibile negare che ci siano politici seri, competenti e onesti, come è probabile che non tutti i “rottamatori” rappresentino una vera discontinuità. E’ fondamentale che il mondo politico sappia rigenerarsi da solo, cambiando non solo l’etichetta, ma anche il contenuto, attraendo forze della società civile e miscelandole con il know how tipico dei partiti politici. Altrimenti il rischio, grosso, è quello di essere spazzati via da soggetti politici creati ex novo, pronti a cavalcare l’onda, pieni di facce nuove, magari pulite, ma che potrebbero rivelarsi scatole vuote o, peggio, dei veri pacchi bomba. Seguo la politica, mi interesso, ma non mi sono mai spinto a partecipare attivamente. Il freno credo stia proprio nel modo in cui è intesa la politica. Non ho intenzione di fare numero, o al massimo di essere il “figlioccio” del politichello di turno, perché nel paese in cui la gioventù è vista come un handicap e non come una risorsa, la realtà è questa. Non vedo la necessità di una lotta tra generazioni, bisogna che il peso dei giovani sia più rilevante rispetto alla situazione attuale, senza “appropriarsi” o “dettare”, bensì confrontandosi, alla pari, per proporre idee nuove, per rilanciare temi messi da parte, per allargare gli orizzonti di certe discussioni o svecchiare alcuni concetti. Tuttavia nell’attuale sistema politico ciò appare se non impossibile, quantomeno difficile. La politica, anche all’interno dei partiti, si è ridotta ad uno scontro tra “tribù” piuttosto che ad un sano confronto di idee. I giovani dovrebbero partire da ciò, ma forse è più comodo appartenere ad una “tribù”. Il punto non è lo spazio riservato ai giovani. Il problema è quanto questi giovani siano realmente “liberi” di operare politicamente. Se si trasformano in semplici tentacoli, il loro numero è un indicatore del nulla. Dovremmo avere il coraggio di buttarci nella mischia, andare a giocare sul loro campo, sporcandoci, perdendo, peccando di inesperienza, magari fallendo in maniera clamorosa e rischiando, alla fine, di guardarsi indietro e non aver cambiato nulla. Non un gioco da “ragazzi”, insomma.