Cosa vorrei sentir dire da un politico, oggi e cosa vorrei vedere fare dalla politica? Sinceramente il meno possibile, nel senso che la politica oggi ha più che mai bisogno di concretezza e non di vuoti proclami. Deve rispondere ai pressanti problemi quotidiani della gente ed essere il più possibile improntata all’azione. Il politico dovrebbe parlare meno, ma soprattutto fare e coltivare una visione a breve, medio e lungo termine sullo sviluppo del Paese, del suo territorio e della comunità amministrata. Una politica, quindi, che rimetta al centro l’azione ma anche gli ideali che vediamo ogni giorno calpestati e sviliti da una classe di “professionisti”, sempre più dediti ai tornaconti personali o delle proprie ristrette cerchie parentali o amicali, che hanno perso totalmente di vista l’interesse generale. Una politica del genere, a prescindere da quello che dice, allontana le persone, disgrega la società ed è alla base della profonda crisi di rappresentanza che sta investendo i partiti e le basi stesse della nostra democrazia. Vorrei una Politica che torni ad occuparsi del quotidiano, a confrontarsi con il territorio nelle strade o nelle nuove piazze virtuali, ma che esca dal suo cerchio magico per cercare di affrontare e risolvere i problemi reali. Come tanti giovani, sono preoccupato per il futuro. Se dovessi scegliere tra “rottamatori” o tradizione, anagraficamente non posso che essere dalla parte dei “rottamatori” o dei “formattatori” che dir si voglia, con coloro che, ed è ormai un’esigenza bipartisan, avvertono forte la necessità di una rottura, di una svolta rispetto allo status quo. Siamo stanchi di replicanti che dicono che bisogna fare questo o quello per “l’interesse del Paese”; cambiare tutto perché nulla cambi. Questa politica ha fatto il suo corso; un’intera classe dirigente ha fatto il suo tempo e l’unico passo doveroso, adesso, è quello all’indietro. A chi teme che il “nuovo” che avanza sia peggio del vecchio o solo una vuota operazione di restyling io dico che non bisogna avere paura di cambiare: un’intera generazione, giovane ma anche meno giovane, oggi è al guado: non studia, non lavora, è fuori da ogni sistema formativo e produttivo. Il sistema politico “tradizionale” è del tutto inadeguato ad arginare questo allarmante fenomeno di marginalizzazione sociale: se non è in grado di esprimere più alcuna visione ma solo di “autoreplicare” se stesso, significa che ha fatto il suo tempo e che deve lasciare spazio ad energie fresche e vitali. Sono contento di aver scelto di fare politica attiva, nel rispetto delle tante persone che mi hanno dato fiducia, e la rifarei senz’altro. Certo non posso nascondere che per i giovani che concepiscono la politica come servizio e passione, la disillusione è dietro l’angolo e l’entusiasmo iniziale è spesso messo a dura prova. Fare politica attiva oggi per chi ci crede, per chi muove dall’idea di dare qualcosa e non di prendere è davvero un percorso ad ostacoli. A volte ci si sente dei Don Chisciotte contro i mulini a vento. Ma credo sia doveroso non arrendersi ed essere sempre presenti sul territorio, non perdere mai il contatto con la realtà, con le persone, con le loro esigenze. Coerente con questa linea di pensiero, mi sono impegnato molto nel sociale e nello sport, dove restano inalterati ancora i valori veri, di rispetto e solidarietà. Credo che per un giovane oggi sia non solo un diritto ma un dovere non gettare la spugna, riappropriarsi dell’azione e dettare l’agenda politica: combattere per i propri diritti, a partire da quello allo studio, al lavoro, a mettere su famiglia. In una parola a rivendicare il nostro diritto al futuro. I giovani di oggi sono molto meno ideologici e più orientati sugli aspetti pratici dell’esistenza; le condizioni di vita ci hanno reso molto più flessibili, considerato il momento di forte difficoltà e di precariato lavorativo. D’altra parte nuovi interessanti spazi di partecipazione si aprono grazie alle nuove tecnologie, all’interazione avanzata consentita dal web 2.0, ai social media: ci sono molti strumenti per far sentire la nostra voce. Per quanto riguarda gli spazi disponibili in politica, per noi giovani c’è lo spazio che riusciamo a conquistarci, come in qualsiasi altro campo. A differenza della maggior parte dei lavoratori comuni, gli “ever green” della politica come noto non agognano andare in pensione, ossia lasciare la poltrona e le posizioni di “rendita”. Per risanare i conti pubblici, l’intervento sulle pensioni è stata una scelta obbligata, per allinearci ai parametri del resto d’Europa; analogamente credo che per il risanamento della politica italiana, per restituire ad essa credibilità e fiducia, ci voglia un intervento forte per un rinnovo generazionale obbligato della nostra classe dirigente, che deve andare a casa al massimo dopo tre mandati al parlamento. Per un sindaco vige il limite di due. Così possono finalmente tornare a fare politica sul territorio.