Vent’anni fa la Nuova Zelanda, grazie all’utilizzo di pratiche agricole sostenibili per l’ambiente e l’attuazione di politiche economiche per conservare incontaminati i propri paesaggi, venne considerata la nazione “verde” per eccellenza. Tutto questo,purtroppo, è una realtà vecchia e la situazioneattuale del paese è molto diversa. Lo si capisce
bene leggendo, ad esempio, una guida pubblicata dall’autorevole rivista ecologica “Forest & Bird” riguardo l’industria peschereccia. I curatori di questo lavoro hanno dato dei voti a varie aziende utilizzando come riferimento le linee guida governative per la pesca e varie ricerche scientifiche indipendenti. La valutazione ha tenuto conto di alcuni fattori come la modalità di pesca utilizzata, ma anche la sostenibilità per l’ambiente marino e le altre specie acquatiche. L’intenzione dei curatori, inoltre, non è quello di boicottare la pesca in grande scala, bensì di fare pressione sull’industria per l’applicazione di pratiche più ecologiche. Una delle problematiche principali quando si affronta un argomento come questo è capire “quanto si può pescare” di una determinata specie: in questo modo non si sfrutta troppo la popolazione marina e le si dà la possibilità di ripopolare le acque. Purtroppo i dati ufficiali sono molto carenti e nessuno sa “quanto si pesca” e “quanto si lascia nel mare”. Inoltre, il 55-71% delle aziende coinvolte nell’indagine tramite le loro azioni di pesca intrappolano nelle reti specie che non hanno nessun interesse dal punto di vista alimentare. Questo è un grande problema che sta portando alla riduzione dei leoni marini nei mari neozelandesi. Non è raro inoltre trovare, una volta issate le reti a bordo, anche uccelli marini oramai privi di vita. Una pratica ancora molto in uso è quella della pesca a strascico che, se da una parte permette una pesca molto ricca, dall’altra distrugge letteralmente i fondali marini costituita per lo più da coralli. Un’altra pratica utilizzata, e bocciata dalla rivista, consiste nel posizionare delle reti sul fondale, facendo entrare qualunque cosa, per poi ritirarle sulla nave. In questo modo non si fa una vera e propria selezione tra i pesci di interesse commerciale e altri che non trovano spazio sul mercato. In questi anni, inoltre, è aumentata molto la pesca dello squalo a causa dell’alto valore commerciale delle pinne che vengono vendute a peso d’oro sui mercati asiatici. Secondo gli esperti l’eccessiva pesca dello squalo è molto pericolosa per gli equilibri tra le varie specie marine che fanno parte della stessa catena alimentare. Infatti, argomentano, se si riduce drasticamente un predatore, la popolazione della sua preda, l’anello successivo nella catena, aumenta a dismisura creando uno squilibrio molto pericoloso. La guida è oramai alla sua quinta edizione e viene aggiornata periodicamente in base ai cambiamenti del mercato e delle più recenti ricerche scientifiche, cercando di influenzare il comune consumatore nei suoi acquisti al supermercato. In tal modo si spera che le catene della grande distribuzione cambino i prodotti sui loro scaffali, premiando tra i loro fornitori quelli che rispettando le basilari regole della sostenibilità ambientale.