Artista eclettica, scrittrice, attrice e regista teatrale, ma soprattutto una persona straordinaria, schietta, diretta, affascinante, che conosce i giovani e sa comprendere i loro tormenti, che non si fa inghiottire dai luoghi comuni e dai meccanismi del politically correctGrazia , ponendosi sempre “dalla parte sbagliata” in un mondo di schemi ed etichette, è dotata di una forza contagiosa che ti travolge con la sua intelligenza arguta e il suo modo di fare unico. Incontrarla e spaziare tra vari argomenti, dalla politica alla sua teramanità, passando per l’universo giovanile che tanto difende, è stata un’esperienza unica.
Chi è l’artista Grazia Scuccimarra? Non mi ritengo un’ intrattenitrice, ma una monologante presuntuosa consapevole di ciò, che si sforza di non offendere l’intelligenza altrui.
Sul palco parla a dei manichini…Nasco monologhista e quindi senza interlocutori sul palcoscenico, ma al manichino gli do sempre un ruolo di turno: amico, politico, studente e così via e gliela canto e suono e mi fa anche molto comodo perché resta ad ascoltarmi immobile.
Lei rifiuta essere definita ironica, ma preferisce indignata. Cosa la fa veramente arrabbiare?
Non è esattamente così; l’ironia è una delle caratteristiche del mio modo di essere che uso preferibilmente. Tuttavia ironia e autoironia possono diventare, a lungo andare, strumenti che si ritorcono contro la società. Io ne rifiuto l’uso sbagliato che va a discapito dell’indignazione e reazione che dovrebbero esserci di fronte a certi fenomeni sociali. Purtroppo l’ironia, oggi, viene utilizzata male e per fini intellettuali disonesti. Ciò che invece maggiormente mi irrita è l’assecondare l’andazzo della vita nella nostra società, adagiandosi sul dejavù senza avere la forza di essere altro. Questo mi provoca una vera e propria ira metaforica.
Nello spettacolo “ Noi ragazze degli anni ‘60” cita “ Il pastore errante “ di Leopardi che “si perdeva ogni sera”.
La nostra società è come il pastore che nel buio dello smarrimento dei valori, ha perso la strada giusta?
A differenza del pastore leopardiano imbocchiamo volontariamente la strada sbagliata. Oggi è molto più chiara la differenza tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Per questo, dinanzi a una classe politica allo sbando, la responsabilità dei cittadini che hanno deciso di errare e perseverare, negando l’evidenza, è doppia.
Noi giovani siamo definiti una generazione di ignavi. Ma davvero non riusciamo a reagire o siamo prigionieri di una gabbia dalla quale non riusciamo a liberarci?
I giovani sono una materia prima da forgiare. Chi mette la mano su di loro lascia un segno. Sono oro vivo che noi grandi possiamo plasmare in un gioiello o in un sacco di rifiuti. Naturalmente non devono crogiolarsi su loro stessi e non devono usare la responsabilità altrui come paravento.
“Bella dentro… fuori non ce l’ho fatta”; quanto conta, in un mondo di apparenze, essere belli dentro?
Conta principalmente per sé stessi perché si vive con sé stessi e non si fugge da quel che si è. Se poi gli altri non vogliono accorgersi di quel che siamo, pazienza! Nella vita andiamo alla ricerca disperata di compagnia non accettando che siamo soli; solo questa consapevolezza ci porta a valorizzare la presenza altrui e vivere autonomamente e serenamente.
Per sopravvivere in una società di “gente che ce la fa e non che non ce la fa” bisogna essere o avere?
Bisogna essere, anche se la società ci dice che bisogna avere. Fortunatamente stanno riaffiorando principi e valori del passato che mi auguro ci salveranno. Questo ciclo del “si può fare tutto” si sta chiudendo per tornare a una dimensione più umana, reale. Da oggi in poi credo in un’umanità migliore che riscopre i valori “buttati” trenta anni fa e li riscopre con la consapevolezza di ciò che si sta facendo.
Lei non ha mai chiesto niente per educazione e non per presunzione. E’ sempre stata libera da tutto e tutti; esiste la libertà o è l’illusione di essa che ci rende schiavi?
La libertà esiste nella misura in cui noi crediamo di essere liberi; non è qualcosa che qualcuno ci deve concedere, ma un modo
di sentire, di essere e dovrebbe essere dilagante. Invece siamo in un mondo di schiavi, di cortigiani. Anche questa d’altronde è una scelta, ma decisamente negativa. Non si è disposti, ahimè, a pagare di persona per la propria libertà, a fare sacrifici e rinunce, a “metterci la faccia”.
Essere dirompenti pone al centro di invidie e ostacoli?
Essere dirompente è dire quel che pensi, essere chiari, precisi, dare all’interlocutore l’impressione di avere davanti un vero antagonista. Questo crea molti ostacoli. Io sono stata sempre stimata e anche applaudita dai miei “nemici”, ma poi si guardano bene dal coinvolgermi in iniziative varie. Infatti ho cercato di raggiungere gli obiettivi con le mie forze coniugando la mia vita di insegnante, di mamma e di nonna.
Quanto la città di Teramo merita un teatro adeguato?
Sono aderente all’iniziativa “noi vogliamo il teatro Comunale risorto dov’ era”. Il mio sogno è che venga abbattuto l’orrore che
c’è oggi e che venga ricostruito il teatro com’era in origine come è stato fatto in tante altre città.
Qual è il ricordo più bello che ha della sua città natale?
Ho tanti, troppi ricordi di Teramo. Sono legata alla mia terra, la amo “ferocemente”, le sue vie, i suoi scorci, tutto. L’ho lasciata con dolore , ma è come se non ci fosse stata mai separazione perchè di essa non ho abbandonato niente… le vecchie abitudini, come le lunghe passeggiate, le vecchie relazioni. Sono orgogliosa di essere teramana.
PrimaPagina ediziona Agosto 2014, di Adele Di Feliciantonio