Il tema lavori pubblici, qualita’ urbana e sicurezza, riveste a mio parere (che è quello di un tecnico) un carattere strategico: è difficile vivere bene in una città ove queste caratteristiche venissero meno. Teramo si muove, muta alcune sue caratteristiche, migliora evidentemente in alcune direzioni, paga purtroppo, per ragioni assolutamente inspiegabili, dei tributi al miglioramento e al progresso che non dovrebbe pagare. Che il problema del traffico fosse sostanzialmente insolubile, al di là di vari Piani del Traffico succedutisi in vorticosa successione fino a che un cambiamento radicale non fosse intervenuto appariva, ai tecnici ed a tutti i cittadini accorti, cosa ovvia. La nuova viabilità denominata Lotto Zero, che dopo una gestazione ventennale, ha visto la luce pochi anni fa, era attesa da alcuni come l’unica possibile soluzione, paventata da altri come un’opera troppo aggressiva nei confronti dell’ambiente fluviale sul quale si sviluppa il suo tracciato. Al di là di questa insuperabile polemica (gli uni non accetteranno mai le ragioni degli altri e così il viceversa), occorre chiedersi se un intero quartiere dovesse pagare un prezzo così caro al progresso, se circa una decina di edifici dovessero essere compromessi e, soprattutto, se questo prezzo fosse realmente necessario da pagare. Bene, la risposta è certamente no. Eppure questo prezzo lo si è pagato e le misure di mitigazione dei danni, come sempre accade, sono così tardive che quantunque arrivassero non sarebbero più sufficienti, in ogni caso, a svolgere il ruolo di mitigazione. A cosa è dovuto tutto questo? Come sempre questi grossolani errori sono dovuti alla prepotenza di chi opera nei confronti di chi osserva e generalmente subisce. Le ragioni di chi teme paventando scenari di rischio, vengono sempre percepite come foriere di inutili perdite di tempo ed anzi forniscono agli operatori, siano essi tecnici o politici, una ragione in più per affondare con prepotenza la spada, quasi a ribadire un primato di chi puo’ (ed opera, e governa) su chi non puo’ (ed osserva e subisce). Eppure sarebbe bastato poco, forse semplicemente una piccola dose di umiltà e si sarebbero potuti prevenire gli inconvenienti che invece, una volta provocati incombono pesantemente ed informa permanente sulla città. Pazienza. Altro esempio di questo errato e preconcetto modo di pensare e di operare è stato la costruzione del parcheggio interrato di Piazza Dante (e torno su un tema a me purtroppo caro). Quella che a suo tempo il comitato Piazza Dante aveva definito un’opera inutile, pericolosa ed impattante a soli pochi anni dalla sua inaugurazione si è rivelata esattamente quale paventato. Inutile poiché non ha apportato alcun beneficio apprezzabile alla situazione parcheggi della zona, anche a piano a raso ancora parcheggiabile. Pericolosa non solo per chi l’ha subita, ma forse anche e soprattutto per chi l’ha voluta. Certamente così fortemente impattante che alla fine dei giochi la città si è vista imporre la assurda ed irragionevole soluzione dell’accesso al parcheggio che ha comportato, per la costruzione delle rampe, la chiusura dell’accesso principale a Piazza Dante dal largo prospiciente la chiesa dei Cappuccini. Nonostante il comitato avesse indicato in un parcheggio al di sotto dei Tigli la soluzione alternativa e sostenibile a questa insostenibile opera, poiché l’indicazione veniva dal cittadino qualunque e non da chi opera e governa, non è stata affatto presa in considerazione. E così abbiamo una piazza senza il giardino superficiale promesso ai cittadini (a causa di problemi economici che immagino abbiano fatto prorogare sine die il tempo di sfruttamento a parcheggi del piano a raso), una piazza segmentata e segnata da decine di muretti disomogenei in forma e funzione, una piazza con grate per l’areazione non adatte allo scopo e deformate dai carichi, tanto da dare oggi origine a zone off limits, una piazza con un accesso pericoloso ove pedoni reticenti percorrono la via stretta di pertinenza delle sole auto, ed infine un parcheggio interrato con un accesso al sottosuolo, soprattutto quello destinato ai privati, molto complesso tanto che più di un’auto ha lasciato la propria vernice su una impertinente colonna in calcestruzzo. Ancora pazienza. Veniamo infine ad un tema sociale e di grande impatto. Teramo ha subito nel 2009, in forma molto più contenuta della città dell’Aquila, il sisma del 6 aprile. Nonostante la maggiore distanza epicentrale, a causa di una qualità urbana generalmente meno buona di quella aquilana, molte abitazioni sono state danneggiate e, tra queste, talune dichiarate inagibili. Due sono le osservazioni più allarmanti: incongrui della finalizzazione delle pratiche di rimborso da parte dello Stato ai cittadini per la riparazione dei danni subiti. A causa di una filiera oltremodo complessa, a causa della insufficienza di personale tecnico degli organi dicontrollo (Ufficio LLPP Comunale, Uffici Provinciali ex Genio Civile), le pratiche, il cui iter è partito più di tre anni fa non hanno generalmente avuto finalizzazione. Molte abitazioni lesionate continuano a degradare, molti teramani non possono ancora riabitare le proprie case. Preso atto della situazione, quello che ci si aspettava dai dirigenti degli uffici preposti alla disamina delle pratiche era una certa risolutezza ed un atteggiamento rivolto alla finalizzazione dei lavori di riparazione. Invece in molti casi il colloquio con gli uffici è lento e snervante, e nessuno conosce i tempi di un positivo auspicabile esito delle richieste. Ancora, purtroppo, pazienza. La seconda più seria osservazione riguarda la vulnerabilità in senso territoriale del patrimonio edilizio esistente. Causa un corpo normativo che fino a quasi la metà degli anni ’80 considerava Teramo territorio non sismico, la quasi totalità degli edifici è stata realizzata senza alcuna accuratezza rivolta ad assicurare prestazioni accettabili in caso di terremoto. La quasi totalità degli edifici, se sottoposti oggi a valutazione di adeguatezza sismica con i criteri che la Scienza e la Tecnica delle Costruzioni attualmente ci offrono, ha prestazioni pessime, essendo capace di resistere al massimo a terremoti dieci volte meno intensi di quanto si puo’ invece attendere a Teramo. Quale puo’ essere l’atteggiamento del cittadino e soprattutto del legislatore di fronte a tale oggettiva situazione? E’ inutile recriminare sul passato e cercare di capire se chi ha costruito 10, 20 o 30 anni fa lo ha fatto a regola d’arte o meno. In sostanza non c’è differenza. Infatti anche un edificio che fosse stato realizzato in passato rispettando ogni regola dell’arte, in assenza però di normativa sismica o osservando una normativa sismica ormai obsoleta, avrebbe generalmente prestazioni pessime e non darebbe ai suoi abitanti alcun grado di sicurezza ragionevole. Il problema è vasto, vastissimo. La soluzione non puo’ essere che quella della allocazione delle risorse pubbliche e private nel recuperare sicurezza. La manutenzione degli edifici è infatti non solo, come purtroppo siamo ormai indotti a pensare, la tinteggiatura delle facciate, ma soprattutto la ricerca di quegli interventi che possano oggi supplire a quanto non fatto ieri in termini di capacità di sopravvivenza in caso di sisma. A questo punto la pazienza è finita e piuttosto che chiacchierare occorrerebbe operare. In questo panorama appare evidente che un ruolo rilevante è giocato dai tecnici che devono saper orientare i committenti verso la strada più giusta che segua, bilanciando opportunamente i due aspetti, il perseguimento di prestazioni tecniche accettabili ed il mantenimento di costi ragionevoli. Da tecnico non vedo che una soluzione tecnica ai diversi problemi sopra esposti, una soluzione che coinvolgendo per il tramite degli Ordini professionali diverse competenze tecniche possa garantire alla città un supporto operativo di qualità che venga consultato non soltanto, come è ovvio, nelle fasi tecniche di realizzazione ma, soprattutto, nelle delicate fasi di programmazione e pianificazione.