Investito da una profonda trasformazione interna, che ha portato (forse caso più unico che raro nella storia delle università italiane) un senato accademico (e non solo) a chiedere al suo Rettore di fare un “passo” indietro, il nostro Ateneo si prepara a vivere una nuova sfida. Luciano D’Amico, preside di Scienze della Comunicazione, sostiene che
“La prima operazione da fare, per ridare vitalità all’Unite è razionalizzazione e sinergia. Anche a finanziamenti costanti è comunque necessario migliorare l’utilizzo delle risorse. Prima di richiedere nuovi finanziamenti bisognerebbe utilizzare meglio le risorse – spiega il preside -, mettendo insieme tutte le competenze che ci sono. Per diventare competitivi sul mercato di acquisizione delle risorse (e mi riferisco al programma quadro dell’unione europea o alle risorse finanziarie da organismi internazionali), ovviamente bisogna avere una dimensione critica, non tanto su gruppi di ricerca, quanto con strutture di supporto in grado di acquisire finanziamenti. Se riuscissimo a creare un’aggregazione delle realtà di alta formazione e ricerca, che lavorano a Teramo, avremmo raggiunto una dimensione che ci consenta un miglior posizionamento nello scenario competitivo internazionale, per poter competere ad armi pari con i progetti nazionali e internazionali”. Ma se è vero che l’intero sistema universitario italiano ha un finanziamento complessivo inferiore a quello della prima università americana, come si può competere con queste differenze? “Prima bisogna raggiungere una dimensione nel nostro ambito territoriale e nazionale, poi avviare una serie di ulteriori sinergie, sempre dopo aver salvaguardato l’autonomia decisionale, che mi interessa mantenere. Non per campanilismi, ma per avere la garanzia di nuovi investimenti nel territorio, e non correre il rischio di una ‘delocalizzazione’, per usare un termine di mercato. Non difendiamo prodotti tipici o campanili, ma una modalità di sviluppo culturale economico e sociale del territorio”. Il rischio di perdere l’autonomia, di veder ridotte le risorse a disposizione c’è. Come può il coinvolgimento territoriale, nelle sue espressioni economiche, politiche, finanziarie o sociali, essere la “cura”? “Credo sia uno dei fattori su cui fare maggiormente leva. La storia economica del nostro territorio è una storia di eccellenti risultati conseguiti. Dobbiamo avere la stessa lungimiranza che in passato ci aveva spinto verso forme di industrializzazione inedite, verso la creazione di nuove istituzioni (penso ai poli bancari della città). Dovremmo provare ad immaginare lo sviluppo di una economia terziarizzata non tanto di tipo finanziario, ma in quanto economia della conoscenza, della formazione e della ricerca. In una città come Teramo, in cui insiste una università, un istituto zooprofilattico, un osservatorio astronomico prestigioso, un istituto musicale pareggiato, una biblioteca provinciale di assoluto rilievo, sarebbe un peccato non utilizzarli. Abbiamo queste risorse che possono essere il volano determinante per lo sviluppo. Faccio sempre questo esempio: dei nostri circa 8000 studenti, se ognuno di loro volesse prendere un caffè la mattina, provocherebbe un indotto di 8000 euro nella città, se poi volesse prendere anche un cornetto l’indotto arriverebbe a 16.000 euro. Se a ciò si aggiungesse tutto ciò che serve ad uno studente, le potenzialità di spesa e di reinvestimento nel territorio di ricercatori e di coloro che lavorano in queste istituzioni, avremmo innescato il volano per creare la ripresa”. Il suo ottimismo traspare, ma come rispondono la città e il suo mondo politico, economico e culturale, a queste proposte? “Sono fiducioso sulle risposte. Ogni volta che mi è capitato di proporre a politici, rappresentanti delle istituzioni o di aziende progetti di questo tipo, ho sempre trovato molta disponibilità al confronto e alla ricerca di soluzioni. La caratteristica di questo territorio è sempre stata la capacità di reinterpretare la propria vocazione, di immaginare nuovi scenari di sviluppo, di reinventarsi continuamente. Sono ottimista sulla possibilità di avviare questo percorso di nuovo sviluppo. Ci sono già i primi passi concreti, le prime energie che si vanno mobilitando. Dobbiamo rendere evidente come un processo del genere sia collegato alla possibilità di creare nuove ricchezze, per immaginare un territorio in cui si produce sviluppo e innovazione. E sulla fertilità dell’humus presente non ho alcun dubbio. È solo una questione di tempi, non di incertezze, per il verificarsi di questa nuova sfida che ci attende”.