Perché non è ancora consolidata la tendenza femminile a votare le donne? Non si corre il rischio che, senza avere un retroterra sociale vivo, si finisca per creare una sorta di notabilato rosa, capace di saltare dai CDA alle aule parlamentari come niente fosse? Le donne comuni, penso ad esempio a quelle che si barcamenano tra il lavoro (quando ce l’hanno)
e la famiglia, alle precarie che non possono permettersi neppure di pensare a mettere al mondo un figlio, o alle donne estromesse dal mercato del lavoro a seguito della maternità, non credo si sentano coinvolte dal tema delle quote rosa nei CDA e neppure dalla doppia preferenza di genere. Si tratta di temi troppo distanti da loro e dalla loro quotidianità. Perché pensare alla stanza dei bottoni, quando magari si fa fatica persino ad arrivare a fine mese? Questa a mio avviso la ragione per cui l’elettorato femminile oggi non è ancora convinto che portare più donne in Parlamento significhi per loro maggiori benefici. Per sperare che ci sia davvero un “torrente rosa” che parte dal basso, cioè un maggior coinvolgimento attivo dell’elettorato femminile, le élite dovranno impegnarsi, una volta raggiunta la stanza dei bottoni, a migliorare la condizione femminile in maniera tangibile e a tutti i livelli. Sto parlando di far funzionare meglio la macchina dello Stato, con onestà e trasparenza (e questo lo sappiamo fare molto bene!), rispondendo alle richieste che vengono dal basso in termini di servizi o di welfare a supporto delle famiglie, non solo delle donne. Solo così potranno acquisire credibilità e popolarità nel medio/lungo periodo. Fermo restando che oggi le donne italiane avrebbero probabilmente bisogno di avere alla loro guida un’avanguardia, piuttosto che un élite. Avanguardia che in questo momento a mio avviso si trova (e ritrova) molto più spesso sul web che nei CDA.
PrimaPagina edizione Luglio 2014 – di Stefania Boleso