Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8862 del 1° giugno 2012, chiarisce la responsabilità risarcitoria derivante dalla violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale; tale sentenza si inserisce in una evoluzione della giurisprudenza -di merito e legittimità- che ha esteso anche al diritto di famiglia -con riferimento ai rapporti tra i coniugi e tra genitori e figli- la logica e i metodi della responsabilità civile (sono i cd danni endofamiliari). Questa la vicenda giudiziaria. Il Tribunale di Macerata pronunciava la separazione giudiziale tra i coniugi AB e CD con addebito al marito, assegnando la casa coniugale alla moglie, disponendo l’affidamento congiunto delle figlie minori, ponendo a carico del marito assegni a favore delle figlie, ma escludendo l’assegno di mantenimento ed il risarcimento dei danni non patrimoniali (morali) per la moglie. La moglie appellava la sentenza, lamentando, appunto, sia la mancata concessione di un assegno in suo favore, sia il mancato riconoscimento e risarcimento dei danni non patrimoniali a suo favore; la Corte di Appello modificava solo gli importi degli assegni a favore delle figlie minori confermando, per il resto, la sentenza. La moglie ricorreva quindi dinanzi alla Corte di Cassazione; il marito proponeva ricorso incidentale. La Suprema Corte rigettava integralmente il ricorso incidentale proposto dal marito, mentre accoglieva quello principale proposto dalla moglie. Circa il mancato riconoscimento dell’assegno di mantenimento a favore della moglie la Corte osservava quanto segue. E’ orientamento consolidato ( ved. Cass.
6698/2009) che per determinare l’assegno di separazione (o di divorzio) l’inadeguatezza dei redditi del coniuge richiedente l’assegno va commisurata al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, accertato il quale il Giudice dovrà valutare se i mezzi economici a disposizione del richiedente gli permettano di conservarlo e, in caso negativo, dovrà procedere alla valutazione comparativa dei mezzi a disposizione di ciascun coniuge. La sentenza impugnata (e cassata dalla Corte) ha, da un lato, accertato la sussistenza di un tenore di vita molto elevato durante la convivenza matrimoniale e, dall’altro – con una motivazione insufficiente e, almeno in parte, contraddittoria- ha precisato che la moglie non avrebbe dimostrato la propria inadeguatezza dei redditi, svolgendo attività lavorativa retribuita; il Giudice non aveva verificato nulla circa i mezzi economici della coniuge richiedente l’assegno, quasi che una qualsiasi attività lavorativa sia in grado
di escludere l’assegno di mantenimento. Circa il mancato riconoscimento del risarcimento dei danni non patrimoniali, la Corte ha cassato la sentenza con una motivazione più complessa. La sentenza impugnata viene fortemente criticata nella parte in cui, ritenendo non “antigiuridica” la condotta del marito, ha rigettato la richiesta di risarcimento dei danni morali della moglie, soprattutto in considerazione che la “legge ha eliminato il carattere illecito dell’adulterio” e, quindi, il desiderio di “libertà e felicità” del marito, pur comportando disgregazione della famiglia, sarebbe sanzionato solo con l’addebito della separazione, escludendo (secondo la Corte d’Appello) la possibilità di
poter considerare il comportamento del marito come fonte di risarcimento danni. La Cassazione ha chiaramente affermato come il giudice della sentenza impugnata non abbia tenuto conto della evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni, che ha esteso anche al diritto di famiglia, con
particolare riferimento ai rapporti tra i coniugi e tra i genitori e i figli, l’area della responsabilità risarcitoria. La Corte di Cassazione ha affermato come, se è vero che l’adulterio non ha più rilevanza penale, sia altrettanto vero che, oggi, i danni non patrimoniali non sono solo quelli derivanti
da reato; la Corte, infatti, ha ripetutamente precisato che la violazione dei diritti fondamentali
della persona, incidendo sui beni essenziali della vita, da luogo a responsabilità risarcitoria per danni non patrimoniali ( ved. Cass. nn. 7281, 7282, 7283 del 2003). La Cassazione ha precisato come la responsabilità del coniuge nei confronti dell’altro coniuge, o del genitore nei confronti del figlio, non si fondi sulla mera violazione dei doveri, matrimoniali o genitoriali, ma sulla lesione, a seguito dell’avvenuta violazione di tali a doveri, di beni inerenti la persona umana, come la salute, la privacy, i rapporti relazionali (ved. Cass. 9801/2005 e, specifi camente sull’obbligo di fedeltà, Cass. 18853/2011 e 610/2012). La Cassazione ha censurato la sentenza impugnata anche nella parte in cui riteneva l’addebito della separazione (strumento più sanzionatorio che risarcitorio) non cumulabile
ad una condanna al risarcimenti dei danni non patrimoniali. La Cassazione, sul punto, ha rilevato come la violazione di obblighi nascenti dal matrimonio, da un lato, è causa di intollerabilità della convivenza e giustifica la pronuncia di addebito, e, da altro lato, tale violazione si confi guri come
comportamento (doloso o colposo) che incide sui beni essenziali della vita e produce
un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento a favore dell’altro coniuge; per la Cassazione, quindi, possono sicuramente coesistere pronuncia di addebito e condanna al risarcimento dei danni. La Corte di Appello non ha esaminato gli effetti negativi, provati dalla moglie, del comportamento del marito sulla privacy, sulla salute e sulla reputazione della moglie stessa. La Cassazione, quindi, ha cassato la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Ancona che, in diversa composizione rispetto a quella che ha pronunciato la sentenza cassata, dovrà pronunciarsi sia sull’assegno di mantenimento a favore della moglie e sia sul risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalla stessa a causa della violazione dei doveri coniugali da parte del marito.