Sono trascorsi 100 giorni dall’insediamento del Governo Monti e bene ha fatto il sito ufficiale dello stesso governo a celebrarne l’attività. Le liberalizzazioni sono state attuate dopo circa 20 anni di inconcludente dibattito politico e si sta completando il provvedimento relativo alle semplificazioni. Si tratta di misure molto importanti che allineano in nostro paese alle economie più moderne e avanzate. Con le liberalizzazioni e quindi con
l’allargamento della concorrenza si è innalzato il tasso di competitività del nostro sistema economico, che potrebbe anche condurre a un abbassamento del livello dei prezzi e a un aumento dell’occupazione. Un provvedimento che le corporazioni esistenti avevano sempre impedito. Con le semplifi cazioni si rende meno ingessato il paese, purifi candolo da quelle incrostazioni burocratiche che da sempre ostacolano la costituzione di una nuova impresa, i rapporti con il fisco, le lungaggini amministrative, adempimenti che comportano tempi e costi rilevanti. E poi c’è il capitolo del debito sovrano. Nonostante il declassamento dell’Italia da parte di alcune agenzie di rating, il differenziale dei titoli di stato italiani con i corrispondenti titoli tedeschi si è progressivamente ridotto e dai 500 punti dei mesi scorsi è sceso intorno ai 350 punti di base, con non trascurabili vantaggi sul nostro debito pubblico in virtù del calo dei tassi di interesse. Ovviamente le misure descritte non sono suffi cienti per generare crescita economica e stabile occupazione. Ciò vale per l’Europa e soprattutto per l’Italia. Nel suo recentissimo rapporto, la Commissione Europea assegna all’Italia una crescita del PIL nel 2011 dello 0,2% contro l’1,4% della media dell’Eurozona. Anche per il 2012 le previsioni vanno nella stessa direzione, nel senso che per l’Italia si prevede un PIL negativo dell’1,3% contro -0,3% dell’Europa. In entrambi i casi, l’Italia si colloca subito dopo Grecia e Portogallo, ossia due Paesi che stanno attraversando la peggiore crisi congiunturale. Questi dati inducono ad alcune importanti rifl essioni. Tuttavia il problema della crescita in Italia non può essere ricondotto in maniera esclusiva alle misure prima richiamate. Anzi nel breve periodo le manovre intraprese dal governo per quanto riguarda l’aumento del gettito fiscale hanno indebolito la domanda interna e contratto il reddito disponibile delle famiglie. La crescita passa invece attraverso la soluzione di quelli che sono i due grandi problemi dell’economia italiana. In primo luogo, la carenza di investimenti in innovazione da un lato, e il modesto profilo dimensionale delle imprese dall’altro rappresentano a nostro avviso i punti centrali su cui convogliare l’attenzione delle istituzioni. Come è noto l’Italia investe poco in ricerca e sviluppo e in capitale umano e quindi è sottoposta agli attacchi competitivi delle cosiddette economie emergenti. È quanto mai necessario liberare risorse dalla componente pubblica con la riduzione della spesa per destinarle al rafforzamento di une economia basata sulla qualità e sulla conoscenza. D’altro canto, per le piccole imprese si pone un problema di presenza sui mercati internazionali. La loro ridotta dimensione non consente di avere la massa critica necessaria per effettuare investimenti in innovazione, di processo e di prodotto. Le reti di impresa potrebbero contribuire al superamento del problema. Le alleanze tra questo segmento imprenditoriale e quello con gli istituti di ricerca e gli enti destinati all’innovazione è oggi una necessità per sopravvivere e reggere alla pressione competitiva che la globalizzazione impone. I distretti industriali hanno rappresentato una storia importante dell’economia italiana e di quella abruzzese. Ma oggi questo modello ha bisogno di essere rigenerato ponendo al centro dell’attività l’innalzamento qualitativo della produzione. In secondo luogo l’attenzione va posta sul ruolo dell’Unione Europea e sulle differenti dinamiche fi scali da parte dei vari paesi. L’insegnamento di questi ultimi mesi è che una unione monetaria senza una vera unione fi scale produce instabilità e diffi coltà per i paesi più deboli. Appare quanto mai opportuna la convergenza verso una effettiva unione fi scale. Le frequenti crisi stanno dissolvendo l’immagine dell’euro tra i cittadini appartenenti ai paesi appartenenti all’Europa. Sono molti coloro che ritengono necessario il ritorno alla vecchia moneta nazionale. Tuttavia è bene precisare che per i paesi meno protetti come la Grecia, il Portogallo e anche l’Italia ciò signifi cherebbe infl azione molto elevata e concreta diffi coltà nel finanziare l’elevato defi cit pubblico.