«Libero era un uomo fuori dal comune e la moglie una donna splendida». Così Tito Rubini ricorda l’avvocato Libero Masi e sua moglie, Emanuela Chelli, a sette anni dal brutale assassinio avvenuto a Nereto nella notte tra il primo e il due giugno 2005. Traspare tutto il dolore per aver perso un amico fraterno, il compagno d’infanzia e poi di studi: «Abbiamo condiviso la stessa camera quando studiavamo a Roma, tra il 1969 e 1970. Io studiavo
Matematica mentre Libero frequentava la facoltà di Giurisprudenza». Esprime affetto e stima nei confronti dei due coniugi, ma anche un senso di protezione, di pudicizia quasi. Soprattutto per i figli della coppia, Elvira e Alessandro. Di Alessandro dice di non saperne nulla, mentre con Elvira si tiene ancora in contatto. «Gestisce un’associazione culturale, e a gennaio scorso hanno presentato un incontro sul “teatro della memoria” presso la Badia di Corropoli». Rivela che non parlano mai dell’accaduto, solo di cultura e argomenti generali: «È molto riservata», aggiunge. Rubini non è interessato alle indagini, alle ipotesi – a volte davvero fantasiose – alle supposizioni di allora. Quello che chiede è la verità, il perché di quel massacro. «Nereto è cambiato da allora. La gente ha più paura, vige l’incertezza. Se almeno si scoprisse la verità, quello che accadde quella notte, forse si potrebbe ritrovare quella serenità, quella fiducia che sono improvvisamente venute a mancare». Parla di sconfitta della giustizia, invece, l’ex sindaco di Nereto, Sergio Moroni: «Soprattutto se si pensa che Libero era un avvocato. È impensabile poi che in una piccola realtà come quella del nostro paese non si sia arrivati a una soluzione. Forse le indagini potevano essere più approfondite e non basarsi solo sull’ipotesi della rapina, visto che, poi, i diecimila euro prelevati dal suo studio la sera precedente, sono stati ritrovati dentro un libro». Moroni si dice meravigliato, inoltre, del silenzio dei media che hanno trattato solo superficialmentee per breve tempo il caso. «Pensiamo a trasmissioni come Porta a Porta che vivono di questo – aggiunge il sindaco – e a come si siano interessati, a volte fino all’eccesso, di alcuni episodi di cronaca, mentre in questo frangente, nessuno sembra essersene interessato più di tanto. Devo essere sincero, anch’io ho pensato di rivolgermi a una di queste trasmissioni per sollevare il caso, ma poi, il riserbo dei familiari mi ha trattenuto». Anche l’ex deputato dei Radicali Pio Rapagnà parla di silenzio sceso troppo presto sull’intera vicenda: «Ci si è arresi troppo in fretta. Gli inquirenti inoltre hanno perso del tempo prezioso a indagare su un’unica ipotesi, quella della rapina finita male, senza seguire altre piste. Perché ad esempio – si chiede Rapagnà – non si è indagato sulle attività di Libero, sia come stimato avvocato che come presidente dell’associazione Slow Food?» Rapagnà non scarta infatti l’ipotesi che Masi abbia potuto toccare qualche nervo scoperto dando fastidio agli interessi particolari di qualcuno. «L’avvocato Masi si era occupato nel 1992, ad esempio, della difesa degli operai che stavano perdendo il lavoro a causa del fallimento di alcune attività della zona che andavano all’asta e venivano acquistate da privati. Inoltre, non è nemmeno da escludere che come presidente dello Slow Food, e quindi proponendo un certo tipo di imprenditorialità in Val Vibrata, si sia scontrato con altri e più grossi interessi commerciali». Parla di «omertà o reticenza» da parte di tutti: cittadini, istituzioni, media. Come se l’episodio dovesse essere rimosso. Rapagnà invita invece le istituzioni a riaprire il caso, a rincominciare tutto da capo, perché «un delitto così efferato non può rimanere senza colpevoli». L’ex deputato che non ha mai smesso di lottare per la riapertura del caso, anzi, afferma di essere stato accusato di propaganda per questo. Sostiene di aver formulato per proprio conto delle ipotesi alternative. Parla di «stranezze»: episodi apparentemente slegati che però andrebbero esaminati più in profondità e di «singolari coincidenze riguardo ai nomi». Solo ipotesi azzardate forse, ma che sarebbe ben lieto che qualcuno si prendesse la brigadi verificare. «Mi accontenterei di sapere anche che si è trattato di uno scambio di persona piuttosto che questo silenzio. Ma – aggiunge ribadendo la scarsa presa delle sue richieste agli organi competenti – da soli non si va da nessuna parte».