Cercare parcheggio, l’incubo di ogni automobilista!
E molte volte il problema non nasce solo dalla difficoltà di trovare uno stallo libero, ma anche dal rischio che a causa del parcheggio irregolare di un’altra vettura si è impossibilitati a uscire sulla pubblica via o ad accedere al proprio posto riservato.
La frequenza di casi di tal genere si è ben presto tradotta nella necessità di individuare la soluzione giuridica più idonea a contrastare con efficacia quello che, costituendo un vero e proprio illecito, evidentemente, non può essere letto solo come mero malcostume.
Orbene, oggi, dinanzi a specifiche categorie di condotte, i giudici sono concordi nel ritenere che il comportamento sopra descritto integri pienamente il delitto di violenza privata previsto dall’articolo 610 del codice penale e punito con la reclusione fino a quattro anni.
Ed infatti è principio comune in giurisprudenza quello di ritenere il requisito della violenza, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 610 c.p., identificabile con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l’offeso,il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà.
Tale è, quindi, per la Corte di Cassazione (12 maggio 2014, n. 2014) il parcheggio di un’autovettura eseguito intenzionalmente in modo tale da impedire ad un’altra automobile di spostarsi per accedere alla pubblica via e accompagnato dal rifiuto reiterato alla richiesta della persona offesa di liberare l’accesso.
Dello stesso tenore altre pronunce della Suprema Corte (ad esempio 18 novembre 2011, n. 603) secondo cui la condotta di colui che, avendo parcheggiato l’auto in maniera da ostruire l’ingresso al garage condominale, si rifiuti di rimuoverla, integra il reato di violenza privata, di cui all’articolo 610 del codice penale.
Per la configurazione del comportamento criminoso, quindi, è importante dimostrare che il soggetto percepisca effettivamente l’illiceità del proprio contegno perché trascura di spostare la propria vettura, nonostante le richieste della persona offesa oppure perché trattasi di un fatto non episodico, più volte segnalato dal soggetto passivo.
Non sembrerebbe, invece, esserci la medesima univocità di pensiero in riferimento al caso probabilmente più frequente: quello dell’automobilista che parcheggi bloccando il veicolo altrui ed allontanandosi consapevole di impedire in tal modo i movimenti dell’auto di altri.
Ciononostante appare, comunque, evidente anche in questo caso la produzione di un danno in capo alla persona offesa, costretta a rimanere ferma per il tempo dell’attesa.
Pur trattandosi di un fatto isolato, infatti, non può negarsi l’idoneità della condotta dell’agente a creare una coazione personale della persona che subisce il riferito comportamento, rimanendo questa privata della libertà di autodeterminarsi ed agire in piena autonomia.
In altri termini sembrerebbe superato anche in questa situazione il confine tra modo di agire incivile e modo di agire criminoso.
PrimaPagina, edizione ottobre 2014 – di Avv. Nicola Paolo Rossetti