Il 10 ottobre in molti centri italiani si è celebrato l’Obesity Day. La giornata dedicata all’obesità è un monito per tutta la sanità italiana: è come se si volesse ricordare che l’obesità è sempre più presente nella nostra popolazione, e che sarebbe ora che fosse presa sul serio e sottratta alle sempre più insidiose proposte dell’infaticabile “industria della ciarlataneria”. L’obesità è una patologia che resta orfana, pur essendo riportata nei più recenti piani sanitari come una vera emergenza sociale. Curare l’obesità in strutture pubbliche è privilegio di pochi e, senza una legge che regolamenti la materia, risulterà
sempre più diffi cile. La parola d’ordine dei nuovi piani sanitari e regionali è coniugare l’aspetto sanitario con quello economico, e questa priorità viene definita “appropriatezza” . Qualsiasi prestazione sanitaria per essere appropriata deve risultare “efficace” (rispondente a criteri di evidenza scientifi ca) ed “economica” (rispondente a criteri appropriati nell’utilizzo dei livelli di cura ambulatoriali, di day hospital e di ricovero ordinario e riabilitativo). Per l’obesità sono state già redatte linee guida che rifl ettono le evidenze scientifi che e che sottolineano l’importanza di servizi dedicati e multidisciplinari, come il nostro, che siano in grado di valutare contestualmente gli aspetti clinici e antropometrici, gli aspetti metabolici, comportamentali (stili di vita e caratteristiche del sonno), nonché gli aspetti psicologici e relazionali. E’ stato defi nito anche il ruolo delle strutture ambulatoriali, del ricovero riabilitativo e della chirurgia bariatrica, ma solo pochissime realtà possono vantare una rete organizzata i servizi. Nel rapporto OCSE 2010 (Fit not fat) è emerso un dato che deve far rifl ettere la politica: l’obeso ha un costo sanitario pari al 25% in più e guadagna mediamente il 18% in meno, rispetto ad un soggetto normopeso. Questo dato dovrebbe suggerire che il criterio dell’appropriatezza, dovrebbe essere richiesto non solo ai servizi sanitari, ma anche alle politiche sanitarie. Infatti, se è vero, come è vero che l’obesità è “l’epidemia” del XXI secolo e che ilsovrappeso e l’obesità sono responsabili dell’80% del diabete tipo II, del 55% della malattia ipertensiva e del 35% delle malattie ischemiche cardiache e che, in particolare, è preoccupante la crescente obesità infantile,è abbastanza ovvia la deduzione che l’obesità infl uenzerà pesantemente anche lo sviluppo economico e sociale. A tal proposito un segnale molto importante deriva dalla constatazione epidemiologica che la prevalenza del sovrappeso/obesità è del 35% nella provincia di Trento (con valori meno allarmanti in tutto il Nord del paese) e del 51% nella provincia di Caserta (con valori più allarmanti per il Sud in generale). Questo signifi ca che le strategie per combattere l’epidemia obesità richiedono un attenzione costante da parte dell’organizzazione sanitaria e l’avvio di politiche intersettoriali (istruzione, piani regolatori, gestione del territorio, ecc.) che siano coerenti con le politiche sanitarie, come la regione Trentino da tempo ha avviato. Il ritardo delle altre regioni nell’attuare programmi di prevenzione e cura dell’obesità produrrà inesorabilmente maggiori costi assistenziali e una riduzione della capacità produttiva a causa della minore redditività del capitale umano.