Dal decreto del 1999 ai costi zero per l’attuazione
di Giovanni Di Giannatale
La cosiddetta “buona scuola”, tanto sbandierata come una sorta di “rivoluzione copernicana” o di “svolta epocale”, attraverso un efficace quanto artificioso uso della comunicazione, ha trovato la sua espressione nella legge n.107 del 13 luglio 2015, che reca il seguente titolo: “Riforma del sistema di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”. Da un’ attenta verifica di alcune parti fondamentali si può evincere che il testo non è alla prova dei fatti così innovativo, come si è fatto credere, e che, peraltro, insorgono molte criticità che ne rendono problematica la riuscita.
1. L’ autonomia scolastica: una conquista della legge?
Il comma 1 recita che la legge intende dare “piena attuazione all’ autonomia”, prefiggendosi l’ obiettivo di “innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti”, prevenendo l’ abbandono e la dispersione scolastica, realizzando “una scuola aperta, quale laboratorio di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica”, e garantendo il diritto allo studio. Al di là dell’ innovazione lessicale, nella sostanza è ripreso per intero il D.P.R. n.275 dell’ 8 marzo 1999, recante il regolamento dell’ autonomia scolastica, le cui disposizioni sono riportate quasi alla lettera in ben 21 commi dell’ articolo unico, dal 5 al 26. Come si può allora asserire che la legge attua pienamente l’ autonomia scolastica, se essa è stata stabilita dal punto di vista didattico, organizzativo e finanziario diciassette anni orsono dal richiamato decreto ed è stata in varia misura posta in essere dalle istituzioni scolastiche? Non pare, dunque, che la legge, sotto questo profilo, introduca nulla di nuovo.
2. L’ offerta formativa a costo zero e l’ apporto dell’ organico potenziato
Il comma 7 recita che le scuole individuano il fabbisogno dei posti in organico con il piano triennale dell’ offerta formativa, al fine di raggiungere i 17 obiettivi formativi individuati come prioritari, tra cui il potenziamento delle competenze linguistiche, delle competenze logico-matematiche, la valorizzazione dei percorsi formativi individualizzati, l’ alfabetizzazione e il perfezionamento della lingua italiana come seconda lingua ecc. Questi obiettivi, già in gran parte contenuti nelle “Indicazioni nazionali” della riforma Gelmini, possono essere raggiunti – come sottolinea il testo- nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili e, comunque, “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica“. Ciò significa che la scuola o si affida ai docenti interni o utilizza docenti appositamente assegnati alle scuole per lo svolgimento delle attività finalizzate ai predetti obiettivi. Ora la prima ipotesi è da scartare, atteso che il ” fondo di istituto”, già di per sé esiguo per i tagli operati nell’ ultimo triennio, è quasi per intero assorbito dai corsi di recupero, dagli straordinari del personale A.T.A., dai progetti formativi e da altre attività connesse con il POF. Una soluzione, in verità, è offerta dal comma 97, il quale prevede la nomina di docenti che sono assegnati alle scuole per il potenziamento dell’ organico. Si tratta di docenti senza cattedra, che potranno essere utilizzati per le attività formative programmate. Il comma 72 stabilisce che questi docenti saranno assegnati agli “ambiti territoriali”, da definire a livello provinciale, dall’ anno scolastico 2016-17. Il MIUR prevede, intanto, di inviarli negli ambiti provinciali entro dicembre 2015 per consentire alle scuole di utilizzarli da sùbito. In questo caso, pur positivo per le scuole, il ritardo nell’ assegnazione dei docenti provoca due inconvenienti di non poco conto: 1. molti docenti che entro settembre ottengono supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche, pur essendo nominati a dicembre saranno assegnati alle loro sedi territoriali dal 1° settembre 2016; 2. sarà assai problematico a dicembre o gennaio utilizzare nelle attività formative gli eventuali docenti assegnati, avendo già le scuole definito il piano triennale da approvare entro ottobre 2015. Occorrerà poi verificare,quando verranno programmate le attività formative, se i docenti dell’ organico potenziato sono delle stesse aree disciplinari nelle quali rientrano tali attività, perché in caso contrario il loro apporto sarebbe scarso o inutile.
3. Nuovi insegnamenti opzionali a costo zero
Il comma 28 consente di introdurre nuovi insegnamenti nel II biennio e nel V anno a scelta degli studenti, insegnamenti che sono parte del percorso di studi e sono inseriti nel curriculum. Ma con quali fondi? Anche in questo caso il legislatore dichiara che ciò deve avvenire sulla base delle risorse disponibili a legislazione vigente e dei docenti dell’ organico potenziato. Poiché di queste risorse non si fa menzione nel testo, è lecito pensare che sono destinate a restare nel piano della virtualità. Il fatto che il testo indichi come alternativa l’ utilizzo della quota dell’ autonomia e degli spazi di flessibilità, sta a significare che le scuole dovranno arrangiarsi. La quota dell’ autonomia è di per sé dannosa, perché per introdurre altre materie occorre attingere nel limite del 20% del monte ore annuale alle altre materie, che così vengono penalizzate. Quanto poi all’ utilizzo dei docenti assegnati alle scuole, bisogna verificare se hanno competenza nelle materie da attivare. In caso contrario il loro apporto è nullo.
4. L’ alternanza scuola-lavoro a costo zero
Il comma 33 introduce come obbligatori i percorsi di alternanza scuola -lavoro, “al fine di incrementare le opportunità di lavoro”. Si prevedono 200 ore nel triennio dei licei. Tralasciando di discutere sugli utopici effetti dell’ alternanza sull’ occupazione giovanile, anche in questo caso si dichiara che i percorsi predetti non debbono creare maggiori oneri alla finanza pubblica. Allora come sopperire alle spese necessarie a realizzare tali attività, fino all’ anno scorso finanziate dal MIUR sulla base di appositi progetti? Il comma 41 parla di imprese ed Enti pubblici “disponibili” a svolgere i percorsi, riportati in un registro nazionale per l’ alternanza scuola-lavoro istituito presso le Camere di commercio dall’ anno scolastico 2015-16. Sorgono due interrogativi: 1. saranno sufficienti le imprese e gli Enti esistenti nelle province a soddisfare le esigenze di tutti gli istituti superiori?; 2. presteranno la loro collaborazione senza costi per le scuole? Le risposte inducono allo scetticismo, perché i fondi finora concessi alle scuole dal MIUR sono serviti in parte a compensare i tutor e i formatori delle aziende.
5. Il dirigente scolastico ancora “sindaco” o “sceriffo”?
Al termine di queste considerazioni diciamo qualcosa sulla funzione del dirigente scolastico, al quale qualcuno continua ad attribuire poteri assoluti. Sgombriamo il campo dalla disinformazione. Il dirigente scolastico era stato delineato con questi poteri nel primo testo della legge. Nel maxiemendamento approvato dal parlamento e confluito nella legge n. 107/2015 è stato spogliato di tali poteri, sia perchè il piano triennale è stabilito non dal dirigente scolastico, ma dagli organi collegiali, sia perché non è più lui a valutare i docenti, ma un comitato misto, sia perché infine non sceglie direttamente i docenti dell’ organico potenziato, ma sulla base di elenchi territoriali forniti dagli uffici scolastici (il che significa che la sua scelta è limitata).