di Raffaele Romano
L’ipocrisia e l’incompetenza navigano ad una tale velocità che, al di là delle proprie opinioni, gli italici media si confermano leader nei due settori. Sembra che conti solo quello in cui credono o conviene loro. Si prenda ad esempio la prima pagina della Repubblica di alcuni giorni fa guidata da un giornalista repubblicano doc cresciuto sotto l’Edera di La Malfa che pubblicava, in prima pagina, alcune preoccupatissime dichiarazioni di Landini segretario generale della CGIL che, era ora, si è accorto che in Italia manca una politica industriale. Il grave problema è che sono 30 anni che manca totalmente ed accorgersene solo oggi è, a dir poco, preoccupante oltre che imbarazzante.
Dopo il titolo segue un breve elenco di aziende industriali in crisi come la Electrolux, la Wartsila, la Lear e le Acciaierie d’Italia ma, purtroppo, ne manca una ancor più importante Stellantis ovvero la ex Fiat. Forse perché il quotidiano scalfariano fa parte della più nota famiglia torinese come “La Stampa” e un’altra decina di testate locali?
Sarebbe meglio fare il punto su questa ex azienda italiana: nel lontano 1990 la Fiat presentò quello che venne definito il progetto Melfi con l’impegno di produrre 3,5 milioni di vetture all’anno ovviamente in Italia ed in contropartita furono chiusi gli stabilimenti di Desio, Rivalta, Arese e Termini Imerese. Con l’avvento, dopo poco, della sedicente seconda repubblica che avrebbe dovuto far rispettare gli accordi sottoscritti con la prima tutto ciò non avvenne e nel 2005 Marchionne presentò ben 7 piani strategici, ultimo dei quali il Piano Italia del 2014, che puntavano a produrre sempre i già promessi e mai realizzati 3,5 milioni di auto per giustificare lo spostamento della propria produzione all’estero. Intanto, senza che nessun governo di tutti i colori della seconda repubblica se ne avvedesse, la produzione di auto in Italia crollava da 1.430.000 del 2005 ad appena 650.000 nel 2009, per scendere ancor di più a 485.000 nel 2011 ed a 473.000 nel 2022. Ad effetto di questo crollo produttivo oltre ai dipendenti diretti ne fanno le spese anche le fabbriche dell’indotto che, in modo approssimativo, occupano qualcosa come più di 150.000 lavoratori.
Nel 2009 quando, senza spendere un euro, la Fiat firma un accordo preliminare e non vincolante per acquistare il 35% del terzo costruttore di Detroit la Chrysler, che all’epoca era detenuto per il 19,9% dalla tedesca Daimler e per il restante 80,1% dal fondo statunitense Cerberus. Nel mese di aprile di quell’anno viene perfezionato l’accordo coi sindacati americani che, al contrario di quelli italiani e dei governi della seconda repubblica, ottengono risultati concreti con l’apertura per Chrysler del “Chapter 11”, una procedura che, sotto la regia di Barack Obama, porta a una “bancarotta guidata” di Chrysler che apre, in tal modo, l’ingresso ufficiale della Fiat. I risultati furono che sempre a novembre di quell’anno Marchionne presenta un nuovo piano industriale che prevedeva per Chrysler il lancio con ben 16 nuovi modelli che, al contrario di quelli non portati a compimento in Italia, sono stati realizzati e già nel primo trimestre del 2011 Chrysler rivede gli utili dopo molti anni. La partecipazione americana viene così portata al 58,5% nel 2012, mentre a gennaio 2014 Fiat completa l’operazione arrivando al 100% con l’acquisto dal Fondo Veba di proprietà del sindacato metalmeccanico Uaw del restante 41,5% per un importo di circa 3,6 miliardi di dollari.
Il primo gennaio del 2012 sempre Marchionne fa uscire la FIAT da Confindustria, forse per avere mani più libere nella gestione produttiva?
Nel frattempo il 12 ottobre 2014 nasce a Torino la FCA (Fiat Chrysler Automobiles) nata dalla fusione di Fiat e Chrysler, con la sede legale nei Paesi Bassi e il domicilio fiscale nel Regno Unito.
Nel 2019 FCA, in sostanza, viene comprata da Peugeot e nasce così Stellantis con un’esaltazione collettiva guidata dai media nostrani. Diversi analisti finanziari, come ha riportato MF Milano Finanza, ritengono una vera e propria acquisizione quella di Peugeot nei confronti dell’ex Fiat dal momento che cinque membri del Cda su dieci sono targati Peugeot, che l’amministratore delegato di PSA divenne l’attuale numero uno di Stellantis e infine il fatto che ai soci di Fiat-Chrysler viene riconosciuto un premio economico sotto forma di dividendo straordinario.
Questo dividendo previsto originariamente in 5,5 miliardi poi ridotti a 2,6 miliardi di euro causa Covid, con una compensazione in azioni pari a una quota del 46% del totale del flottante azionario di Faurecia che è controllata da Peugeot. Non va poi dimenticata la presenza in Stellantis dello Stato Francese attraverso la banca pubblica “Bpifrance“. Questo rappresenta una forte tutela a favore del mantenimento dei posti di lavoro e degli stabilimenti in Francia, a danno delle controparti italiane che invece non sono rappresentate all’interno dell’azionariato da un soggetto riconducibile allo Stato Italiano. Per Peugeot il tornaconto è stato concreto a cominciare dall’incremento delle vendite in Europa oltre all’accesso nel mercato americano dove era praticamente assente.
In tutti questi anni il silenzio sostanziale di Landini, prima nella FIOM e poi nella CGIL, è strano mentre è comprensibile quello di Repubblica e tutti gli altri.